"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 4 marzo 2012

Il Vangelo della domenica. Il Vangelo secondo Marco. Commento di Don Umberto Cocconi.


"Dal Vangelo secondo Marco: Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Arriva il momento in cui senti dentro di te il desiderio di comunicare ai tuoi amici chi sei veramente. Non hai mai avuto la percezione di sentirti come composto di tanti strati, come… una cipolla? Tante pelli, tante maschere... Sono i modi in cui ti presenti al mondo, agli altri. Arriva però il momento di far vedere chi sei in realtà, senza mimetismi, nella nudità del tuo essere. Vinci la tua timidezza, la tua riservatezza. Sei, in apparenza, quasi senza pudore, proprio perché ti fidi di chi ti sta accanto, e racconti di te, del tuo segreto ai tuoi amici intimi. 

Che cosa avranno provato Pietro, Giacomo e Giovanni quel giorno, quando Gesù li prese e li portò con sé su un alto monte, perché rimanessero in disparte, loro soli, con lui? Avranno di certo compreso che stavano vivendo un momento magico. Si sentivano, come non mai, gli amici di Gesù, chiamati a condividere lo stesso destino. Gesù avverte che è giunta l’ora di comunicare il suo segreto. Di “far luce” sulla sua persona. Di farli partecipi del suo essere “il Figlio, l'amato” del Padre. Deve essere stato uno choc per gli amici stare alla presenza del loro maestro che “sul santo monte manifestò la sua gloria”. Avevano veduto un uomo come tanti altri e nello stesso tempo avevano intuito esserci in lui “qualcosa di diverso” – ma ora ne avevano una sconvolgente conferma. 

L’uomo di Nazaret, colui che «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo» (Gaudium et spes, n. 22), ora si rivela in tutto il suo splendore divino, in tutta la sua fulgida bellezza. E tu, cosa aspetti a trasfigurarti? Ossia quando cambierai “figura”, quando cambierai stile di vita? Il mondo ha già visto la tua bellezza? Ha contemplato la bellezza che hai dentro? Sei convinto o no che nonostante gli insuccessi, gli errori, sei un dono? Il Padre non ti ha forse detto che sei «fatto come un prodigio, una meraviglia stupenda». Solo il Padre ti conosce. «Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore» (Salmo 139). Solo Lui ti può dire: tu sei «il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento» – sì, proprio in te! E’ solo che non riesci più a manifestare la vita divina che ti abita. Non credi più in te stesso.

A volte cadiamo in preda allo sconforto. Troppe volte gli altri hanno visto qualche cosa che non era la nostra “verità”. Non abbiamo saputo mostrare quello che siamo realmente, nel profondo del nostro essere. Bene, oggi è il tuo giorno. E’ il momento che gli altri se ne accorgano. Di che cosa si devono accorgere? Di quello per cui sei nato. Sei nato per imparare ad amare. E tutte le volte che ami ti trasfiguri. Proprio perché sei abitato dalla luce di Dio, la tua vita diventa splendente e illumina il cammino dell’umanità. 
Nel film Quasi amici assistiamo a una vera e propria trasfigurazione, proprio perché i due protagonisti, Philippe e Driss, si contaminano positivamente. Gli “intoccabili” si aprono l’uno all’altro, in una comunicazione che è qualcosa di più di uno scambio interculturale. A causa di un incidente Philippe, un ricco aristocratico, è diventato paraplegico. Driss invece è un ragazzone della banlieue uscito da poco di prigione. Quando il primo assumerà l’altro come suo badante personale, la vita di entrambi cambierà radicalmente, in meglio: due vite apparentemente lontane anni luce vengono (casualmente) in contatto e (inaspettatamente) diventano l’una per l’altra una forza di cambiamento.


Ciascuno darà all’altro la forza per ricominciare la propria vita in modo luminoso e sorprendente. Driss – così volubile, sfrontato, tante volte indelicato e anche irrispettoso della condizione di Philippe – riuscirà comunque a smuovere il ricco dallo stato di torpore esistenziale indotto dalla totale dipendenza fisica conseguente alla tetraplegia. Con il suo fare spiccio ma sincero, riaccenderà in Philippe la voglia di tornare a vivere. Da due esistenze all’apparenza “menomate” nasce un’amicizia in grado di colmare i vuoti di entrambe. Due fisicità e due mondi a confronto, in cui la tragedia del ricco si accosta alla vita povera, ma anche beneficamente spregiudicata, del ragazzo di strada, per aiutarci a capire che il limite, la mancanza, il senso di vuoto sono una condizione mentale e spirituale, prima ancora che fisica o sociale. «Il vero handicap è non avere più lei» confiderà Philippe a Driss parlando della propria sposa. 

Quasi amici racconta fondamentalmente una doppia rinascita, e per farlo si affida in larga misura all’umorismo, chiave vincente di un film che non vuole deridere la disabilità, ma riuscire finalmente anche a “scherzarci insieme”, più che “scherzarci su”. L’umanità, da sempre, si rapporta al malato come fosse fragilissimo cristallo. «L’importante è che non si rompa: “rottura” di cui invece ha bisogno Philippe, che in Driss intravede la forza (non solo muscolare) di cui ha bisogno per continuare a sentirsi vivo. E allora basta ai soliti giretti sul furgone per handicappati e via a tutta velocità sull’esplosiva Maserati ormai parcheggiata da troppo tempo: perché di immobilità ne basta una e il mondo intorno è ora che lo comprenda» (Valerio Sammarco).

Alla fine, questi due “intoccabili” sono diventati amici per davvero. Ed è un’amicizia in crescendo, fondata non sulla forza delle parole, ma su quella dei fatti. D’altra parte, non esiste miglior attestato d’affetto delle azioni, dei comportamenti, ed è anche questa una delle realtà che emerge dal film, per certi aspetti edificante. Questi due “più che amici” hanno riscoperto la luce che avevano nascosta dentro e che da troppo tempo era intrappolata dentro gli schemi in cui i loro rispettivi mondi e i rispettivi corpi li avevano ingabbiati. In loro qualcosa si “rompe” e permette la vera nascita, come si “rompono le acque” nel parto. Le loro vesti sono diventate «splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche». Quando capiterà a te? Quale potrebbe essere il fatto che scatena la tua riscossa, se non l’apertura all’altro, al diverso da te che può essere paradossalmente colui che tu ritieni l’”intoccabile”? Quando ti trasfigurerai davanti a noi e le tue vesti diventeranno splendenti, bianchissime?
Don Umberto Cocconi

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