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"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti
Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti
Pubblicato daDon Umberto Cocconiil giorno domenica 29 aprile 2012 alle ore 17,42
Vangelo secondo Giovanni (10, 11-18): Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Per parlare di sé, per comunicarci chi vuol essere per noi, Gesù utilizza l’immagine del pastore, anzi del pastore “buono” (nell’originale greco la parola è “bello”, nel senso di perfetto, ideale: un “pastore modello”). In questo modo, però, Gesù definisce anche noi: siamo il suo gregge, le sue pecore. Ai nostri giorni, però, la cosa può generare qualche problema, perché la pecora è connotata negativamente. La prima associazione di idee è: “animale privo di personalità”. Al giorno d’oggi, dire a qualcuno “sei una pecora” significa squalificarlo come individuo: uno che segue opinioni e mode senza riflettere, un vigliacco e un pauroso, uno che fugge da ogni responsabilità personale. Nel nostro immaginario, è molto meglio assomigliare al leone che alla pecora. Non per niente, un detto popolare recita: “Meglio vivere un giorno da leone che cent’anni da pecora”. Nel linguaggio evangelico, invece, il concetto di pecora assume ben altro significato. Le sue connotazioni specifiche sono quelle di saper riconoscere la voce del proprio pastore e (cosa non meno importante) di essere conosciuta per nome (come dire: conosciuta e amata profondamente!) da colui che la guida.
Forse pensiamo che l’immagine della guida, del leader, della personalità carismatica potrebbe essere più azzeccata, di questi tempi. Eppure, non c’è similitudine più semplice e calzante, per comprendere cosa Gesù sia disposto a fare per noi, che quella del pastore. Che cosa è disposto a fare un pastore buono, un pastore degno di questo nome, per il suo gregge? E’ disposto a donare la sua vita per le “pecore”! Il pastore buono, il pastore ideale, non simboleggia soltanto colui che protegge, che si prende cura del suo gregge, ma rappresenta in senso lato colui che vive per il suo popolo, che arriva a fare “causa comune” con lui. Il mercenario, all’opposto, è colui che agisce per il proprio interesse, per il proprio prestigio, insomma è l’uomo senza scrupoli, che mette al centro di tutto il suo guadagno, i suoi interessi personali. Il mercenario è colui che si è arricchito a spese degli altri, di coloro verso i quali aveva un compito, una missione.
In questo quadro, dove si collocano i politici? Sono pastori buoni o sono mercenari? Sono capaci di fare l’interesse di tutte le loro pecorelle, anche quelle più indifese, oppure assomiglieranno al mercenario che le divora o le lascia in balia “dellospread”? Importa loro quello che succede alle “pecore”? Ne hanno cura? Si fanno carico delle loro difficoltà? Oppure alla prima avvisaglia di pericolo si dileguano lasciandole “cadere nel baratro”? Solo chi è disposto a dare la vita per gli altri, può essere il Pastore del gregge. Ciascuno di noi è chiamato a esercitare unavocazionesociale per il bene della comunità. Giorgio La Pira, il mitico sindaco di Firenze, alle accuse e agli avvertimenti mossigli da più parti sui rischi di compromissione che l'attività politica porta con sé, rispose: «Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa “brutta”! No: l'impegno politico – cioè l'impegno diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società in tutti i suoi ordinamenti a cominciare dall'economico – è un impegno di umanità e di santità».
Davanti al Consiglio comunale dichiarò con fermezza che i suoi collaboratori avevano nei suoi confronti un solo diritto, quello di negargli la fiducia, ma non potevano dirgli di non interessarsi: «delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). Se c'è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l'amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia diminuita. Altra norma di condotta per un Sindaco in genere e per un Sindaco cristiano in ispecienonc'è!». Il
Il vangelo sottolinea un altro aspetto: «ho altre pecore che non provengono da questo recinto», dice Gesù. E il suo obiettivo è fare di tutte «un solo gregge, un solo pastore», un’unica grande realtà di comunione. Gesù è venuto a liberare le persone dagli spazi angusti del recinto. Il recinto è qualcosa che ti dà sicurezza, ma che rischia anche di toglierti la libertà, di separarti dalla Vita nella sua pienezza: il pascolo è fuori dal confine del recinto. E nei pascoli del Regno è possibile l’incontro tra pecore condotte fuori da altri ovili, da altri recinti, per godere insieme della Vita che non ha fine.
Con il suo agire, con la sua scelta di dono totale e pieno della vita, Gesù innesca un processo di liberazione crescente per tutta l’umanità. Non soltanto per le persone asserragliate nel recinto di una religione o di una religiosità “protettiva”, difensiva, separatrice e magari molto formale, ma anche per chiunque si trovi costretto dentro altri recinti che comunque lo privano della libertà a cui ha diritto, la libertà dei figli di Dio. La fede cristiana, comunque, è chiamata a vigilare sulla stessa religione, sul rischio che essa diventi un ostacolo alla potente esperienza di liberazione, di affidamento all’unico Pastore, al Modello di una vita e di un amore offerti in pienezza – al pastore che guida ai pascoli della vera libertà, che ci apreil cammino verso il Regno di Dio.
Dopo avere partecipato a due edizioni del Tour de France, il
campione di Traversetolo Adriano Malori,
giunto al terzo anno da professionista, si prepara ad affrontare il suo primo
Giro d’Italia. La sua squadra la Lampre-Isd, ha reso noto i nominativi dei
partecipanti alla corsa in rosa, tra i
quali anche il nome di Malori. ,ha detto Adriano, che in gergo ciclistico
vuole dire stare davanti e lavorare per il proprio capitano, con la speranza
alla fine del giro di avere parecchie soddisfazioni. Malori sarà fondamentale per la sua squadra nella
crono a squadre di Verona , ricordiamo la
tappa a cronometro del Tour dello scorso anno dove Adriano si classificò al
dodicesimo posto, primo degli Italiani, la sua specialità è la corsa contro il
tempo. In questi giorni Malori si stà
allenando dalle parti della Val D’Enza e Val Parma, vale a dire dalle parti di
casa sua. Poi il via al suo primo Giro d’Italia è fissato per sabato prossimo.,
che si svolgerà dal 5 al 27 maggio, con partenza quest’anno da Herning in
Danimarca, con una cronometro di 8,7 Km e dove la carovana dei girini correrà
ben 3 tappe. Dopo il riposo di martedi otto maggio, mercoledi nove il Giro
ripartirà dal territorio Italiano con la
cronometro a squadre di Verona di 32,2 Km, dove Malori è uno dei più favoriti.
Mirànt déz : in-t-al prìmm témp dò parädi par tgnìr
su la baràca, in-t-al finäl n’usida spetacolära a sarär su tutt ! Anca ti cme
la scuädra in gran voläda ! Avanti acsì ch’ a s’ pól rivär indò s’ insognävon
gnanca
Biabiany
déz : un gol ala Beccalossi e scuza s’ l’é pòch par vón che pu che i pè da
Beccalossi, al gh’ à la corsa da Carl Lewis
Santacróza
sèt : al prìmm témp l’éra da zéro e anca meno, mo al bél vót l’é stè parchè a té
t’ si arpiclè ala granda e in-t-al finäl a t’ si saltè fóra cme un león !
Zacärd déz
: al vót l’é p’r incoragiamént e parchè a t’ comìnc’ arcordär che ti a t’ gh’è
da fnìr la carjéra a Pärma, azvén a cà, ambjént trancuìll, insòmma sta miga
andär a sarcär dal frèdd p’r al lét da n’ätra pärta valabén ?
Lucaréli
déz : montè su a frèdd, zbaljè gnanca ‘na virgola, acsì cme gh’ à da ésor p’r
un veteràn cme ti !
Modést
séz : pròprja parchè dòpa ‘na vitòrja acsì béla a ‘n vój där gnanca n’ insuficénsa,
parchè la dormida sul gol l’é da camp nùmmor sèt äd Fognàn, pròprja còll indò va a zugär
j’amator pu gram
Palètta
déz : in-t-al prìmm témp a t’è tochè fär tant straordinäri par cuatär
Santacróza che adésa rivrà l’ufìssi dal lavór a fär un control, second témp
sémpor concentrè e convìnt, un gran bél giron äd ritóron
Jonathan
déz : a torni a dir ch’ a gh’é d’andär da Moratti a färogh firmär la
comproprietè prìmma ch’ a vaga trop su al prési parchè chilù l’é bón e mìga
poch
Valdes
déz : da centormediàn ala Pin n’ätra partìda cój barbìz, e socuànt scalädi a
fär la diagonäla da cuärt difensor cuand a sarviva in-t-al finäl ! Sa t’ avìss
catè Donadón socuànt an’ fa chisà che carjéra t’arìss fat
Morón
vìnt : a Morón da capitàn a gh’ dagh al vót dòppi, anca parchè tutt j’én sémpor
pront a criticärol, mo jerdlà ch’ l’ à fat ‘na partìda strepitóza in pòch i l’àn
fat notär
Galòpa séz : béla partida anca par ti Rito, però sérca ‘d tirär su
un pò al témp dailà, a gh’é da balär la samba
chi csì, mìga al bal dal matón
Giovinco
déz : cuand al zuga acsì l’é al pu fort zugadór italjàn, un piazér p’r j’òc’,
delisjóz e concrét, un gran zugadór, sperämma in-t-al miracol, ch’ al pòsa avér
la crozäda adòs anca st’ an’ ch’ vén
Okaka déz
: l’important l’éra casärla déntor, e ancòrra pu important l’éra andär a
ringrasjär còj ch’é rivè fin a Palérom par stärv atàca, bravo Eddy a t’ si ‘drè muciär di béj vót par la pagéla ad zùggn
Donadón
déz : in parténsa socuànt sèlti un pò dzämma “naif”, mo ‘na gran coresjón äd
l’asét ädla scuädra in corsa, ch’ l’é ‘na dote fondamentäla par n’alenadór!
Second mi Mìsster a Pärma a s’ pól fär cuél äd bél insèmma, dai dai ch’a gh’
provämma dai !
US
Barbiano Calcio trenta e lode : pòsja robär socuànt rìghi par där al vót ala
“me Socetè” ch’ l’ à m’à vìsst “där spetacol” par cuindz’ an’ e ch’ l’à festegè
marcordì i trént’an’ dala fondasjón, trént’an äd calcio amatorjäl, d’amicìssja
e Sport con la S maiùsscola in camp e cój pè sòtta ala tävla, grasja in
particolär a Tilio Basteri, al Sir Alex Ferguson ädla ValBagansa ai so aiutant
dal Circolo la Quercia e ai pu äd dozént zugadór ! AVANTI BARBIANO E AVANTI
CROCIATI
(Pubblicato
sulla Gazzetta di Parma del 25 aprile 2012)
(Foto di Pietro Maletti)
(Testo solo in Italiano)
Ormai siamo agli sgoccioli, fra poco meno di due mesi anche l’anno
scolastico 2011/2012 verrà archiviato e per gli alunni delle scuole elementari
e medie di Parma e provincia sarà solo un ricordo. Quest’anno, però, il ricordo
sarà positivo per le scuole che hanno avuto il piacere di fare salire in
cattedra gli insegnanti di dialetto parmigiano, che sono i parmigianissimi
Alberto Michelotti, Enrico Maletti, Maurizio Trapelli, (Lo Dsèvod) e Vittorio
Campanini, autore del libro “Impariamo il dialetto parmigiano”, distribuito con
la Gazzetta di Parma all’ inizio dell’anno scolastico. Quest’ anno il
nostro vernacolo è entrato nelle seguenti scuole elementari e medie:
Rodari, Micheli, Milani, Pezzani, Toscanini, Santa Rosa, (Imeldine)
Racagni, Newton, questa per ben quattro lezioni, la scuola primaria di
Sorbolo, dove la lezione si è svolta nella sala civica del Comune di
Sorbolo in via Gruppini.
La nostra lingua parmgiana è entrata anche nella
scuola media Puccini, e nella scuola media Europea dove Emio Incerti
Presidente di Federalberghi ha messo a disposizione per la lezione
di dialetto una sala dell’Hotel Farnese. Fino ad ora, il progetto dialetto
nelle scuole, ha così coinvolto fra elementari e medie oltre mille ragazzi, i
quali hanno assistito alle lezioni di circa un’ora e mezzo ciascuna.
Prima della fine dell’anno scolastico sono in programma altre lezioni alle
scuole Corridoni, Cocconi, Sant Orsola, Porporano, Maria Adorni, San Leonardo,
Vicofertile e Baganzola, in totale è prevista la presenza di oltre
millecinquecento ragazzi delle scuole elementari e medie. L’insegnamento
del vernacolo, è consistito nel coinvolgere non solo i ragazzi ma anche i
docenti nella lettura di testi pubblicati sul libro di Campanini, e nella
presentazione di parole parmigiane scritte in dialetto su un foglio, dove
nel retro si trovava la traduzione in italiano. Dopo i risultati positivi
di quest’anno, per il progetto dialetto nelle scuole elementari e medie
appoggiato dalle associazioni Famìja Pramzàna, Parma Nostra,http://parmaindialetto.blogspot.it/si stà lavorando percontinuare questa esperienza nei prossimi anni scolastici.
(Testo solo in italiano) Parma, 23 aprile 2012– Il maltempo ha concesso una
tregua nel fine settimana e il 2° MemorialFrancesco Saponara nell'ambito della
15ª edizione della Festa di Primavera al Centro San Lorenzo della parrocchia di
Alberi si è potuto disputare regolarmente con una buona cornice di pubblico.
Per il secondo anno consecutivola vittoria nella
manifestazione calcistica è andata alla squadra degli Amici di Alberi che nel
triangolare ha avuto la meglio sia dei Missionari Saveriani (2-1) sia dei
Giornalisti (5-3). Quest'ultimi giunti secondi (come nel 2011) per aver
superato i Saveriani ai calci di rigore (ogni squadra ne ha dovuti tirare ben
9!) dopo che i tempi regolamentari erano terminati sul risultato di parità
(1-1).
Un plauso particolare all'arbitro, l'inossidabile
Alberto Michelotti, che ha dimostrato di essere sempre il numero uno. E un
sentito grazie a Bertozzi Medaglie per i trofei messi a dispozione anche quest'anno.
Per quanto riguarda la Festa di Primavera, ideata
quindici anni fa dallo stesso Francesco Saponara, e quest'anno organizzata
dalla parrocchia di Alberi con laFamija
Alberese e il contributo, per la merenda a base di torta fritta, dello staff
del missionario don Dall’Asta, successo della Riffa (3mila i tagliandi
venduti) e del Torteo, la competizione che ha messo in gara 32 torte per
aggiudicarsi la palma di più bella (vittoria per Lara Jardas con un dolce a
forma di farfalla di primavera) e quella di più buona (successo per Margherita
Raffaini con una torta di nutella e ricotta).
Il ricavato della festa andrà al
gruppo di sostegno di don Dall’Asta e per finanziare le due adozioni a distanza
in Brasile attivate alcuni anni fa dalla parrocchia di Alberi. Durante il
pomeriggio ci sono stati giochi campestri per i bambini uniti al trucca bimbi.
L'azienda
sperimentale Stuard si trova alla Crocetta, instrada Madonna dell'Aiuto, poco
dopo i campi da calcio, a Parma. Da oltre vent'anni possiede un frutteto di
frutta antica visitato e invidiato da tutta Italia. Lo Stuard è una azienda
speciale della Provincia di Parma, da cui dipende totalmente.
La Provincia ha
deciso di costruire allo Stuard la nuova sede dell'istituto agrario
Bocchialini, ora allocato in viale Piacenza. Dove lo vogliono costruire?Sul frutteto naturalmente!!Per Parma è uno
smacco, un assurdo nei termini, un inutile spreco.OggiI gruppi
di acquisto solidale che fanno parte di IntergasParma si trovano davanti a
questa notizia, che nessuno conosceva. Come poter continuare a collaborare con
chi sta per cementificare un frutteto? Come tacere
l'assenza diinformazioni sul progetto, il voler agire senza informare
l'opinione pubblica?
SALVIAMO IL FRUTTETO STUARD
Intergas lancia
una raccolta di firme alla città, alla società civile, al mondo
dell'associazionismo per poter comunicare alla Provincia, ed allo Stuard, il
pensiero della città, la volontà dei cittadini, lo sconcerto del mondo dei
gruppi di acquisto solidale.Tacere èimpossibile, il frutteto va salvato. La Provincia
dovrebbe ripensare la scelta complessiva aprendo una discussione pubblica sul
tema e coinvolgendo i soggetti interessati.
Salviamo
il frutteto Stuard
Salviamo la biodiversità
per leggere e
firmare l'appello clicca sull'indirizzo seguente:
Baganzola: la Casa della Gioventù compie 50 anni. Cinquanta
anni di un luogo, di una ‘casa’ di incontro e di formazione pensato e
desiderato fin dai primi anni di ministero pastoraleda Don Lino Rolli. La Casa della Gioventù, fra
i mille ostacoli economici e organizzativi immaginabili a quel tempo, divenne
un’ipotesi concreta con la posa della prima pietra nel 1956. Il desiderio e la
volontà si traducevano in un progetto operativo che veniva immaginato come
polifunzionale, capace cioè di corrispondere a una molteplicità di richieste. E
così si pensò alle aule per il catechismo ma anche a un circolo con bar, a un
cinema-teatro, e si pensò a un campo da calcio.
Questa impresa così impegnativa
riuscì a decollare pur nella consapevolezza che una struttura, di per sé, non
avrebbe risolto i problemi di contatto con la gente e di coinvolgimento dei
giovani. “I muri non bastano,
scriveva don Rolli, immaginiamo mura
vive, sale animate, sedie occupate, cortili vocianti”. Ma perché questo
avvenisse occorrevano persone disponibili, educatori, volontari impegnati nella
gestione degli spazi e delle iniziative. Questa mobilitazione ci fu e le
iniziative cominciarono a fiorire. Ma da lì a poco un male terribile colpì Don
Rolli che dovette rinunciare alla Parrocchia lasciando la Casa della Gioventù
al suo successore che, fortunatamente, per l’aiuto generoso di alcune persone
in particolare ma anche per una sentita partecipazione di molti, non si trovò a
dover far fronte ai debiti accumulati.
Da allora la casa della Gioventù di Baganzola fu punto di
riferimento per un gran numero di ragazzi e ragazze, occasione di incontro e di
amicizia, luogo di approfondimento religioso e culturale, di cui molti hanno
memoria e gratitudine. Celebrare oggi il 50° anniversario dell’inaugurazione è
occasione in primo luogo per ringraziare Don Rolli e i suoi più attivi
collaboratori del primo periodo, ma anche per ringraziare tutti coloro che
hanno reso vivo, dinamico, significativo nel corso di questi 50 anni questo
luogo di incontro. Sacerdoti, animatori, persone che hanno avuto ruoli di
dirigenza e di coordinamento fino a coloro a che si sono resi disponibili per
servizi organizzativi umili ma indispensabili (anche tenere in ordine il
cortile è un servizio prezioso).
Ma questa celebrazione del 50° è anche l’occasione per
riflettere sulle prospettive future. Il cambiamento della zona, intervenuto dal
1962 a oggi, è enorme in termini sociologici, economici, urbanistici, culturali.
Il volto della parrocchia non è più quello di cinquant’anni fa: presenze nuove
e nuovi bisogni interpellano la comunità. E’ questa allora anche un’occasione da
parte della comunità parrocchiale per ripensare il senso della propria presenza,
dei propri impegni e delle proprie proposte nei confronti soprattutto delle
nuove generazioni. Un ripensamento che non può prescindere dalle indicazioni
della Diocesi in ordine alla trasformazione delle Parrocchiee che include anche l’utilizzo delle
strutture che le comunità hanno a disposizione. Una celebrazione quindi quella
del 50° che è anche una chiamata a nuove collaborazioni e nuovi impegni
pastorali.
La giornata del 25 Aprile inizierà alle 9,30 con la
benedizione della lapide commemorativa al cimitero con la presenza della banda
“Città di Collecchio”. Alle 10,30 S.Messa celebrata dal Vescovo e accompagnata
dal coro “Voci di Parma”. Seguirà l’intitolazione della Casa a Don Lino Rolli e
la visita alla mostra fotografica. Nel pomeriggio giochi per bambini, sfilata
di abiti da sposa, partita di calcio “vecchie glorie”, torta fritta e salumi. (Ermanno Mazza) (Nelle Foto: storiche: 1) 18 novembre 1956, posa della prima pietra della Casa della Gioventù, in primo piano Don Lino Rolli e il Vescovo Monsignor Evasio Colli. 2/3 alcuni ragazzi che festeggiano e l'entrata del teatro nel giorno dell'inaugurazione 25 aprile 1962)
Realizzato da Pietro Maletti (Testo in dialetto Parmigiano)
Pärma
Cagliari 3-0
Mirànt òt : gran paräda sul zéro a zéro, petnadura
un pò meno e majètta che pù che p’r un
portér l’andäva bén d’ andär a balär al
Jumbo äd sòtta
Jonathan
déz : ormäj chilù l’é dvintè al me
pupillo, a tutt il manéri dal tutt a né m’
son miga zbaljè cuand j’ò ditt ch’ al gh’ à di nummor mìga da rìddor !
Bibì e Bibò, consìlli da vón ch’ a n’ in
sa, provì andär a Milàn subìt a rinovär al prestit e magàra a ciapär la
comproprietè che second mi a fì n’afäri
Zacärd
òt : corsia saräda su e Jonathan cuatè da razón, cme al pù dil volti,
taticamént parfét, ‘na garansja !
Lucaréli
òt : parfét e trancuìll par tùtta la partìda, adésa tgnìr dur ancòrra un
pär ‘d partìdi e pò a s’ pól sarär su
botéga anca par st’ an’ dai
Palètta
òt : codìggn, concentrè e con la ghìggna da catìv cme a m’ pjäz a mi p’r un difensor ! Second mi l’é
in-t-al momént äd màssima forma da cuand l’é a Pärma e l’é ‘drè a infilär dil béli
partìdi vùnna ‘drè cl’ ätra
Gobbi
séz : socuànt vot in meno, parchè pronti-via da la tò pärta j én gnu zò un pär
äd volti par colpa äd dormidi ch’ j àn
fat un gran dir, e a t’ pól ringrasjär Mirànt s’ in n’ àn mìga sgnè, m’arcmand marcordì ch’ l’é fondamentäla, ansi äd pù
Valdes
òt : Calimero, ordinè cme ‘na camaréra
Filipén’na, tich tach, tich tach, pù che
Valoti jerdlà a t’ m’è arcordè Pin, e n’é
mìga un complimént da pòch, parchè Lele l’éra un grandìssim in camp e fóra
!
Galòpa sèt : béla partida Rito, davanti a t’ gh’ äv di cliént tignóz, t’è tgnù bóta e ansi ala fén li in
méza a t’è cmandè ti e cuand a s’ vénsa
a centorcamp, nóv vòlti su déz a s’ vénsa
la partida
Valian
òt : rispóndor prezént e färos catär pront anca cuand a né s’ zuga un granchè
l’é ‘na cóza pozitiva, par ti , par
l’alenador, par la scuädra, par tutt insòmma
! Bravo e contìnnva acsì che adésa a t’ zugarè un pò pù de spèss
Giovinco
déz : a s’ é vìsst subìt ch’ l’éra vùnna äd ch’il partìdi che par j’avarsäri i
dvénton n’ incubo, spetacolär e concrét, ormäj l’é sicur ch’ l’andrà via, a cóll pónt chi a spér almeno ch’ al n’artorna mìga a
torén parchè arväddrol con ch’ la maja a
m’ darìss pròprja fastìddi un bel pò
Floccari
òt : n’ätra béla partìda e ‘na cälma da Zvedéz a tirär al rigor in-t-un momént ch’ al podrìss ésor col ch’ l’
à mìs la parola “fine” insìmma al discors salvèssa ! Vè balarén, sit pròprja
sicur d’andär via ?
Okaka déz
: Eddy Trota l’à fat n’enträda strepitóza, déz minud sénsa zbaljär gnanca un
balón, vól dir ésor un ragas séri e profesionìssta da razón anca s’al n’é mìga
un campjón, mo a Pärma l’é pù importanta la primma còza, l’impìggn e la serietè
Donadón
déz : partìda parféta, scuädra bén mìssa in camp, con n’idea äd zógh bén
precìza, in pochi paroli n’alenador da tgnìr strìch, a bón intenditor pochi
paroli….intéz ??
Bibi e
Bibò déz : par chi al n’ à mìga capì Ghirärdi e Leonärdi, un déz par la béla
decizjón äd stär fóra da cla pajasäda
vargognóza ädla riunjón äd Lega, a speculär anca insìmma a la morta d’ un pòvor ragas !
Bravìssim, vìsst che cuand a v’ meritì un déz al riva subìt e vlontéra ? Adésa
però a gh’ ò un bonus p’r un zéro da därov, ch’ a spér ch’ a né gh’ sia mìga
mäj bizòggna äd tirär fóra d’ in sacòsa, mo sa dovìss capitär a gh’ ì da
promèttor d’acetärol sénsa protestär !
AVANTI CROCIATI
Pubblicato daDon Umberto Cocconiil giorno sabato 21 aprile 2012 alle ore 16,33
«Roba nominäda, roba par la sträda»
Dal vangelo secondo Luca: I due discepoli che erano
ritornati da Èmmaus narravano agli Undici e a quelli che erano con loro ciò che
era accaduto lungo la via e comeavevano riconosciuto Gesù nello spezzare il
pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a
loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un
fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati,e perché sorgono dubbi nel
vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e
guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo
questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia noncredevano
ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?».
Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò
davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero
ancoracon voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella
legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente percomprendere le Scritture e disseloro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e
risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i
popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di
questo voi sietetestimoni».
L’evangelista Luca, discepolo della seconda generazione, scrive
il suo vangelo intorno agli anni 80 dell’era cristiana. Ha «posto mano a
stendere un racconto degli avvenimenti successi ... come glieli hanno
trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri
della parola». Ha compiuto «ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli
inizi», scrivendone «un resoconto ordinato» perché ciascuno di noi “posteri”
potesse rendersi conto «della solidità degli insegnamenti ricevuti». Luca cerca
di rispondere agli interrogativi, alle provocazioni degli uomini e delle donne
del suo tempo, che come noi si ponevano tante domande sulla persona di
Gesù e in particolare intorno all’evento della resurrezione. Anche a noi viene
spontaneo chiederci: che esperienza ebbero del Signore Risorto i discepoli?
Come compresero che era vivo, anzi, il Vivente? Hanno avuto un’allucinazione
collettiva? Come hanno compreso di aver visto Lui, il Signore Risorto nel
suo vero corpo? Non possiamo fare esperienza del Signore Risorto come la fecero
a suo tempo i discepoli: dobbiamo credere allora che ci sia preclusa ogni
esperienza “reale” di Lui? Ogni uomo e ogni donna di ogni tempo, come all’epoca
di Luca, vive questo dramma: è ancora possibile fare esperienza del
Signore Risorto? E se è possibile, come avviene?
Il racconto che Luca “confeziona” cerca di rispondere in modo
molto realistico alle nostre domande. Leggendo questa pagina di vangelo, alquanto sorprendente, siamo
invitati a lasciarci coinvolgere e sconvolgere, come quel giorno si lasciarono
sconvolgere gli Undici. Sconvolgere vuol dire etimologicamente “conturbare
l’ordine, scombussolare, devastare, scompigliare, stravolgere”. Solo se
ci lasceremo “mettere sottosopra” potremo giungere all’incontro con la Verità.
In dialetto parmigiano si dice: «Roba nominäda, roba par la
sträda». E ci sono anche altri modi di dire simili «Si parla del diavolo e
spuntano le corna» oppure «Si parla di Lui e spuntano le aureole». E’ un
modo pittoresco per dire che ciò di cui si parla è vicino, è in cammino, si
renderà visibile al più presto. «Mentre essi parlavano di queste cose...»,
racconta Luca. Il verbo è all’imperfetto, indica un’azione che dura nel tempo.
I discepoli stanno parlano di Gesù (allora come oggi), stanno condividendo ciò
che lo riguarda e li riguarda: ascoltano la narrazione dei discepoli di Emmaus,
«ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello
spezzare il pane». Avranno pure parlato di ciò che le donne avevano visto alla
tomba, in quel mattino dopo il sabato. Ebbene si parla, si racconta di lui, di
Gesù – ed ecco che Lui in persona si rende visibile. Del resto, non aveva forse
detto «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? Si
parla di Lui e Lui è con noi. E dona la pace. Il segno che dice che Lui è con
noi è la pace, il dono messianico per eccellenza.
Ma i discepoli non potrebbero
aver avuto un’allucinazione collettiva? Non potrebbero essersi
suggestionati a vicenda? Luca a questo riguardo, si comporta da nostro
perfetto contemporaneo, e per rispondere alle nostre elucubrazioni
illuministe ci dice che i discepoli non solo erano «sconvolti e pieni di
paura» ma «credevano di vedere un fantasma», ossia percepivano un evento
esterno a loro, credevano di vedere uno spirito, una presenza misteriosa,
qualcosa “non di questo mondo”. Ed è il secondo passaggio nell’itinerario di
conoscenza degli Undici: questo che loro credono essere uno spirito ha un
corpo, è fatto di carne ed ossa. E questo corpo che si manifesta in mezzo a
loro rimanda a Gesù di Nazaret, colui che era stato crocifisso. Non il volto o
la voce, ma le mani e i piedi sono il suo segno di riconoscimento. Le sue mani
e i suoi piedi che portano i segni dei chiodi rivelano la sua identità più di
qualunque altro segno. E questa volta è addirittura la gioia a impedire loro di
credere! Anche a noi sarà capitato di vivere una gioia talmente grande,
talmente incredibile, da farci dubitare della realtà di quello che stiamo
vivendo. Sono così felice, che mi sembra di impazzire dalla felicità. Quello
che vivo è troppo bello per essere vero! Forse anche gli Undici hanno vissuto
tutto questo. E’ un sogno, non è realtà! Ma c’è un terzo passaggio per
dissolvere ogni illusione, ogni paura: il Risorto mangia, quasi a dire con
forza: sono vivo e vero. Il mangiare, nella nostra cultura, testimonia che un
essere è vivente. L’evangelista racconta in diretta e al rallentatore tutte le
emozioni, tutte le esperienze, tutti i passaggi conoscitivi che gli Undici
apostoli ebbero dell’incontro con Gesù, esperienza reale, concreta, in quel
giorno, il primo dopo il sabato. Ma sta parlando a noi, alla comunità di ogni
tempo. In filigrana, ci dice che anche a noi è data la possibilità di
incontrarlo: nell’esperienza dello spezzare il pane, nell’esperienza della
fraternità che nasce dall’essere riuniti nel suo nome. Come Gesù dice ai suoi
discepoli: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!», così invita
anche noi a volgerci alle Scritture, se vogliamo comprendere e conoscere il
disegno di Dio che si è compiuto nella storia di Gesù Crocifisso e Risorto. Il Crocifisso «attrae», nella sua evidenza e nel suo mistero.
Ogni uomo desidera incontrare la verità – di Dio e dell'uomo – che il
Crocifisso è in grado di mostrare. Agli occhi che sanno vedere, si svela così
un tratto straordinario: l'amore di Dio ha percorso lo stesso cammino del
nostro amore, fino all’estremo. Che cosa c'è di più attraente dell'amore?
L’uomo è fatto per essere amato e per amare, lo sappiamo. Ma che cosa c'è di
più debole dell'amore? Esso appare troppo spesso sconfitto, e più grande è, più
appare sconfitto. Questa tensione tra forza e debolezza trova il suo punto
culminante e illuminante nel Crocifisso Risorto. Qui si vede l'insospettata
profondità dell'amore, la sua forza di dedizione, la sua gratuità, ma anche la
sua scandalosa debolezza: il Crocifisso è l'icona di un amore manifestato e
rifiutato. Ma il Crocifisso è Risorto, vittorioso: dunque la debolezza
dell'amore è in realtà la sua forza. Se vuole testimoniare annunciare il Signore Gesù, la comunità
cristiana deve essere diversa dal mondo, dalla logica che troppo spesso lo
governa. Quale diversità, in particolare? Il mondo non è semplicemente il luogo
in cui Gesù è venuto. Amarlo, salvarlo, è il pensiero dominante del cuore di
Dio, la ragione esclusiva dell’Incarnazione. Il mondo lasciato a se stesso
conosce solo l'amore interessato e di parte: tutto il contrario dell'amore di
Dio. Per essere “segno di contraddizione” come Gesù – e dunque annunciatori del
suo vangelo – occorre il coraggio di mostrare la gratuità e l'universalità
dell'amore. È la via, lo stile inconfondibile di Dio. (DON UMBERTO COCCONI)