"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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lunedì 13 agosto 2012

Il Vangelo della domenica. Commento di Don Umberto Cocconi.

 Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno lunedi 13 agosto 2012 alle ore 8,58
Dal Vangelo secondo Giovanni (6, 41-51) I Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Mettiamoci nei panni di coloro che ascoltano le parole di Gesù: resteremmo allibiti, scandalizzati, ci porremmo le loro stesse domande. Chi è quest’uomo?  E chi pretende di essere, soprattutto? I giudei che lo ascoltano e lo conoscono non riescono a comprenderne non tanto le parole, ma la “pretesa identità”. Il loro interrogativo è ragionevole: come può dire, costui, di essere disceso dal cielo, se è notoriamente il figlio del carpentiere Giuseppe, se conosciamo tutto di lui, a cominciare da suo padre e sua madre? Tra quello che vedono e quello che Gesù di Nazaret sta dicendo di se stesso c’è un abisso, ai loro occhi. Ecco perché “mormorano”. Che cosa significa mormorare? Non è solo fare pettegolezzi nei confronti di qualcuno o insinuare qualcosa, non è neppure solamente fare una chiacchiera inopportuna e indiscreta, tesa a mettere in cattiva luce qualcuno: è una deliberata intenzione di nuocere, di fare del male, di vedere il male dove non c’è. La mormorazione contro Dio è stata una delle “cattive abitudini” del popolo nel deserto, come ci racconta il libro dell’Esodo, e mostra la mancanza di fiducia del popolo nell’operato di Dio. Anche nei confronti di Gesù, i giudei (ovvero la maggioranza dei capi del popolo e chi ne condivide la “religiosità”) mormorano, non credono, sono il popolo dell’alleanza che ancora una volta non presta fiducia, ha bisogno di miracoli per credere che davvero “costui” è  il profeta che deve venire nel mondo.
Gesù si presenta alle folle come colui che può donare il pane vivo, il nutrimento che dà all’uomo la vita che non ha fine. Il pane che Gesù vuole donare è più “nutriente” di quello di Mosè, è un pane che non ti sazia per un solo giorno, come la manna, ma ti dona la vita eterna. Durante il loro cammino nel deserto, i Padri mangiarono la manna e nonostante questo sperimentarono la morte; ora invece – afferma Gesù – c’è la possibilità di sperimentare la vita divina, perché Dio dona al mondo il vero pane, il vero nutrimento e questo pane è Lui stesso. Nelle parole di Gesù si legge un evidente richiamo all’ultima cena: «Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi». E questo pane che il Padre dona per tutti i suoi figli, affinché divengano fratelli, è Gesù stesso. Lui soltanto – “Parola che si è fatta carne” e “Parola che si è fatta pane” – dona all’umanità di risorgere, di non essere più prigioniera della morte.
Gesù fa comprendere ai suoi uditori che Dio vuole parlare al cuore dell’uomo, vuole dimorare nella stanza più intima  della sua creatura prediletta. Si compie grazie a Lui la parola dei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Dio parla nell’intimo dell’uomo: la sua non sarà più una voce esterna, sarà invece la voce dello sposo che parla alla sua sposa. Sarà questa nuova relazione a generare la «fedeltà creata dalla sua azione nel cuore» e dare compimento alle parole di Ezechiele: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne».  Afferma a questo riguardo Sant’Agostino:  «Tu, che sei a me più intimo del mio intimo stesso, tu mi ponesti dentro, nel cuore, la tua legge, scrivendovela col tuo Spirito, come col tuo dito. In questo modo io non ho da temerla come un servo, senza avere per essa alcun amore; piuttosto ho da amarla con timore casto, come si addice a un figlio, e insieme ho da temerla con casto amore». Il Messia dalla croce attirerà tutti a sé: «Questa trazione del Padre è l’insegnamento interiore annunciato da tutti i Neviy’ìym (profeti). Questa perfetta comunione è la nuova berith = diatheke (alleanza). Ed il culto in Ruah e Verità. In questo contesto i vv. 51-53 annunciano l’eucaristia» (Flavio Bedodi).
E noi, con le nostre persone sempre e comunque fragili, limitate, come possiamo essere pane che dà vita al mondo? Il film “Il fantastico mondo di Amélie” è ricco di suggerimenti, a questo proposito. Amélie è una piccola e delicata ragazza che vive a Parigi, dove trascorre un'esistenza solitaria ed appartata, senza sussulti. Poi, improvvisamente, quasi per caso, la sua vita cambia. Una sera come tante è a casa davanti alla tv: le tristi immagini della morte di Lady D. la sconvolgono al punto da farle scivolare dalle mani il tappo di una boccetta di profumo, che finisce contro una mattonella del bagno, rivelando così per combinazione un piccolo nascondiglio: da sotto la mattonella, Amélie estrae stupita una scatola di latta. La apre, ed ecco venire alla luce i ricordi ormai sepolti di un inquilino che l’aveva nascosta lì molto tempo prima. Da quel momento in poi, la sua vita diventa una missione: aiutare il prossimo, offrendogli attimi di felicità. Mettendosi al servizio degli altri, Amélie potrà dare e ricevere l'amore che non ha mai conosciuto. Qui comincia la sua favola, che la condurrà a incontrare infine il “grande amore”.  
Amélie si dedica a portare un raggio di sole nella vita di coloro che incontra; diventerà la paladina di tutti i diseredati, deboli, sconfitti e depressi che le gravitano intorno. Come un angelo farà breccia nel mondo di questi emarginati, anche in maniera indiscreta, con l'intento di recare loro una luce di benevolenza e simpatia, trasformando le loro vite grazie ad una innata e travolgente inventiva e punendo leggiadramente chi approfitta delle disgraziate esistenze altrui. Quello di Amélie è senz’altro un mondo “fantastico”, ma da molti punti di vista anche e soprattutto “umano, troppo umano”. Il tocco gentile di Amélie contagia le cose e le situazioni che tocca, le fa diventare “piene di vita”. Non potremmo anche noi lasciarci contagiare a fondo da quello  strano quanto piacevole “virus” chiamato bontà, che traspare così evidentemente in lei? Potremmo scoprirci improvvisamente più gentili e disponibili, più teneri e distesi, pronti a rivalutare l’importanza che i sogni e le cosiddette piccole cose rivestono nella nostra esistenza, giungendo ad affrontare con maggiore ottimismo e serenità la “dura” realtà quotidiana. No, non è uno scherzo: è soltanto l’irresistibile “effetto-Amélie”. Perché – lei ce lo insegna –  non è mai tardi per ritrovare fiducia nella vita.
DON UMBERTO COCCONI

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