"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 29 settembre 2012

Vangelo della domenica. Commento di Don Umberto Cocconi.

 
Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno sabato 29 settembre 2012 alle ore 14,46


 Dal vangelo secondo Marco. Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

Tutti noi teniamo gelosamente al nostro nome, lo proteggiamo con il copyright, guai a chi ce lo tocca! Gesù, invece, si comporta in tutt’altra maniera, pur sapendo che avere sulle labbra il suo nome può permettere di compiere opere straordinarie, perché quel Nome il cui significato è “Dio salva” rinvia alla sua identità e al suo potere: il potere dell’Amore. Ma invocare il nome di Gesù  vuol dire prima di tutto fare appello alla comunione, che è l’assoluto contrario di ogni divisione diabolica. Noi non siamo i proprietari  del nome di Gesù o dell’evento Gesù perché egli non appartiene solo alla Chiesa, ma all’umanità. Giovanni, uno dei dodici, pare considerare Gesù come una sorta di “proprietà esclusiva” del gruppo di cui si fa portavoce, come fosse l’unico  abilitato  a compiere opere di guarigione nel suo nome.  Invece, quanto bene c’è intorno a noi che non è prodotto da noi stessi! Ogni giorno con sorpresa siamo chiamati a scoprirlo.

Il bene, però, subisce minacce costanti. René Girard, filosofo e antropologo, afferma che il bambino, proprio perché prende inevitabilmente a modello l'adulto a lui più vicino, può essere facilmente scandalizzato, ossia può inciampare e cadere, e quindi perdere la sua genuina bellezza. Infatti, «se incontra soltanto esseri già scandalizzati, troppo divorati dal desiderio, egli prenderà a modello la loro chiusura, diverrà riproduzione mimetica di quest'ultima, caricatura accentuata in modo sempre più grottesco». La condanna dello scandalo (annegamento con un peso enorme intorno al collo) suggerisce assai più un meccanismo naturale di autodistruzione che non un intervento soprannaturale. Collocandosi nel circolo vizioso dello scandalo, gli uomini si fabbricano il loro destino, si scavano da soli il proprio inferno e vi precipitano insieme, trascinandosi l'un l'altro nell’abisso. La perdizione è uno scambio per così dire “equo”, perché reciproco, di cattivi desideri e di cattivi comportamenti. Le uniche vittime innocenti sono i bambini, che subiscono lo scandalo proveniente dall’esterno, senza che ci sia alcuna partecipazione da parte loro. Fortunatamente, tutti gli uomini sono stati prima bambini: per questo gli adulti possono sempre ravvedersi! Ed è anche questo che sta a cuore a Dio, non meno che la protezione dei piccoli. Gesù sintetizza l’agire dell’uomo riferendosi in particolare a tre parti del corpo: la mano, il piede, l’occhio.

Attraverso l’occhio, ciò che vedi diventa oggetto del tuo desiderio; di conseguenza, con la mano agisci in modo da possedere, afferrare, fare tuo ciò che desideri. Oggi dovremmo chiederci: i miei occhi, che cosa vedono? Se uno mi guarda negli occhi, chi vede, che cosa vede? Gli occhi non sono forse lo specchio dell’anima? Non rivelano il tuo intimo, il tuo cuore? E il tuo piede, i tuoi piedi, dove ti portano, verso quale meta?  Che cosa stai desiderando veramente sempre di più? E le tue mani, quante volte hanno afferrato per prendere oppure si sono chiuse al dono e alla condivisione? Quanti tagli dolorosi ma salutari siamo chiamati a compiere dentro di noi, dopo un’attenta analisi! Avremo mai il coraggio di de-cidere e re-cidere, di tagliar via quella parte di noi che ci porta verso la morte? “Getta via ciò che ti porterà nella Geenna”, è l’esortazione di Gesù! Cos’era questa Geènna? “Gêhinnôm” (Valle di Hinnom) era come lo è tuttora un burrone a sud del tempio di Gerusalemme, antica sede di culti pagani.

Al tempo di Gesù, questo luogo, veniva usato come discarica dei rifiuti e questi erano ivi continuamente ammucchiati e bruciati. Quindi Gesù ci dice: “E’ meglio che togli da te ciò che ti impedisce la pienezza di vita, anche se ti costa dolore, piuttosto che finire nell’immondezzaio di Gerusalemme, cioè guastarti e annientarti completamente nella tua pessima idolatria!”. Basta offrire un bicchiere d’acqua per salvarsi? Così poco? Pare proprio di sì, tanto è vero che Gesù sottolinea la veridicità dell’affermazione con «in verità io vi dico». L’amore, se è sincero, passa attraverso le piccole cose, i gesti della quotidianità che dicono considerazione e attenzione verso l’altro. Diceva Madre Teresa: «Non cercate azioni spettacolari. Quello che importa è il grado di amore che mettete in ogni vostro gesto». Quanto è importante cercare di “essere” l’amore accanto a ciascuno! «L’amore ci darà occhi nuovi per intuire ciò di cui gli altri hanno bisogno e per venire loro incontro con creatività e generosità. Nel Vangelo vissuto vi è la risposta ad ogni problema individuale e sociale» (Chiara Lubich).

Il nuovo film di Giuseppe Piccioni “Il rosso e il blu” è un affresco sulla scuola italiana. Ambientato in una scuola romana si svolgono le vicende di alunni e docenti tanto normali da apparire straordinari. Una preside e due professori, uno giovane e uno anziano, scoprono di contare molto nella vita dei loro studenti, anche di quelli apparentemente “anonimi” e indifferenti. Il film ci ricorda che la scuola è un luogo di relazioni profonde, di scambi intensi, di verità improvvise che spaccano la crosta dell’abitudine. Basta mantenere viva l’attenzione reciproca, ridarsi fiducia, non abbassare gli occhi e il pensiero, perché i ragazzi hanno bisogno degli adulti e gli adulti dei ragazzi. La scuola è il luogo migliore per crescere insieme, magari discutendo del romanticismo e del classicismo o leggendo Leopardi. «In questa epoca così confusa non si può fare a meno di continuare a credere e a lavorare. E a scuola, dove anche un solo giorno può cambiare il destino dei ragazzi che sono fra i banchi, questa necessità di sperare si sente in modo più forte, più urgente» (Giuseppe Piccioni). “Il rosso e il blu” ci ripropone il semplice valore dell’impegno che ognuno di noi deve prefiggersi per svolgere bene il proprio compito. Se ognuno noi fa in buona fede il proprio dovere, forse qualcosa potrà davvero cambiare. I semi gettati, durante ore, giorni, mesi, anni di lezione, in aule a volte fatiscenti della scuola pubblica italiana, germoglieranno nella mente, nel cuore, nelle scelte di alunni e insegnanti. E la speranza è che tali scelte diano frutti di bene per tutta la società.
(DON UMBERTO COCCONI)
 

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