"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 12 gennaio 2014

Il Vangelo della domenica: "Gesù Cristo in fila con i peccatori". commento di don Umberto Cocconi.

 
 
Pubblicato da Don Umberto Cocconi  domenica 12 gennaio 2013  alle ore 14,51
 
Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento». (Dal Vangelo secondo Matteo).
 
Il primo gesto compiuto da Gesù, una volta lasciata Nazaret, è spiazzante per lo stesso Giovanni Battista. Infatti, quando Giovanni scorge Gesù in fila con i peccatori, pronto ad immergersi nelle acque del Giordano (un gesto di penitenza e di conversione, che chi battezzava considerava assurdo, se riferito a Gesù), vorrebbe rifiutarsi, ma Gesù insiste, con parole risolute e significative: «Lascia che si adempia ogni giustizia». Ancora una volta ci incontriamo con una parola chiave dell’evangelo di Matteo, un tema che gli sta particolarmente a cuore: è lui, lo ricordiamo, a definire Giuseppe, lo sposo di Maria, un uomo “giusto”. “Giustizia” sta a indicare il piano di Dio, il suo disegno di salvezza, rivelato a Israele, ma destinato a tutti gli uomini. Gesù, con la sua scelta di compiere questo gesto penitenziale, rivela di essere venuto a condividere, in tutto, la storia dell’uomo, anche negli aspetti più scandalosi. Gesù vuole prendere su di sé il peccato dell’umanità, per farsene carico e liberare così il mondo dal male. Paolo dirà: «Colui che non aveva conosciuto peccato si fece, per noi, maledizione». Per trent’anni, Gesù ha vissuto una vita normale, in una località sperduta, posta alla periferia del mondo di allora, ma è proprio quando giunge presso il Giordano, che diventa davvero uno di noi, mescolandosi tra la folla dei peccatori, senza paura di contaminarsi, di sporcarsi, di figurare tra gli esclusi. Chi avrebbe mai immaginato che Colui, che l’angelo aveva indicato a Maria come il “Santo e il figlio di Dio”, si sarebbe immerso a tal punto nella nostra misera storia? Dio non si limita a farsi carne, debolezza, fragilità, ma addirittura si fa “maledizione”, perché decide di portare su di sé il peccato del mondo! L’immersione di Gesù, nelle acque del Giordano, lo farà sprofondare negli abissi del peccato, al punto da essere “ferito” profondamente nella sua natura divina, da vivere la sua passione, che sarà la Passione per il mondo.
 
A differenza di Achille, l’eroe mitologico dell’Iliade, che dopo l’immersione nelle acque dello Stige diviene invulnerabile, tranne che nel tallone,  Gesù, invece, immergendosi nelle acque del fiume Giordano, rinunciando al suo “essere Dio”, diviene totalmente vulnerabile. Per questo, Dio benedice questo Figlio che non ha avuto paura di “perdersi”, di rinunciare alle sue prerogative divine, per divenire “mortale”. «Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo» canta san Paolo nella lettera ai Filippesi. E chi è più servo, più schiavo, dell’uomo peccatore? Ma è proprio questa “immersione totale” di Gesù nel Giordano a far aprire i cieli, come a dirci che nella misura in cui si vive la condivisione con gli uomini-che-sbagliano, con gli ultimi, i più “lontani” da Dio, il cielo si apre. Ogni volta che tu vivi il tuo “essere-con”, il tuo essere fratello, sorella, di ogni essere umano, nella sua verità di creatura ferita che ferisce e che sbaglia, i cieli si aprono e scende su di te lo Spirito, il bacio di Dio e il suo soffio vitale che ti avvolge e ti ricrea. Se il cielo rimane chiuso è perché non siamo capaci di scendere dai nostri piedistalli, di immergerci nelle storie degli altri e facciamo solamente i nostri interessi. Mentre Gesù ama profondamente gli uomini, al punto da prendere su di sé il loro peccato, egli si sente intensamente amato dal Padre, che lo proclama suo Figlio. Mentre scende nell’abisso della lontananza da Dio, mentre fa una prima esperienza del nulla, del vuoto, della disperazione, che vivrà in modo estremo nei suoi ultimi giorni a Gerusalemme, il Padre riconosce che Gesù, proprio Lui, è suo figlio, l’amato, il prediletto. E’ amato perché ama, non perché pensa a se stesso ma al bene dell’altro; Gesù riversa il suo amore su ognuno, ma prima di tutto sull’uomo “malato”, oppresso dal male, soprattutto su chi non se lo merita. La parola «questi è il figlio mio, l’amato», indica la profondità della relazione tra il Padre e il figlio. Mentre il Figlio si allontana dal Padre, perché si fa fratello dell’umanità, ancora lontana da Dio, il Padre afferma: «in Lui ho posto il mio compiacimento». I cieli che si aprono ci fanno vedere il volto di Dio, un Dio che è “per” il mondo. Forse lo stesso Padre non si aspettava una sorpresa di questo genere da parte di Gesù!
 
Questa lezione di umiltà deve averla imparata da Maria e Giuseppe. Sono stati loro, con il loro farsi piccoli, a educare Gesù “alla vita buona del vangelo”: da loro ha imparato a voler davvero bene agli uomini, a condividere i loro drammi, a lasciarsi trafiggere dal mondo. Nelle parole “mi compiaccio” c’è tutta la gioia e la fierezza di un Padre, contento del figlio che è riuscito a sorprenderlo positivamente e che ha oltrepassato le sue aspettative. “E’ proprio mio figlio”, sta dicendo il Padre. Quand’è l’ultima volta che hai sentito la voce del Padre dire a te, proprio a te: «Tu sei mio figlio, in te mi sono compiaciuto»? Se non l’hai ancora udita chiediti: perché? Forse perché le mie scelte non sono quelle di un figlio? Sì, questa potrebbe essere la risposta esatta. Come potrebbe compiacersi di te il Padre, se tu sei tutto fuorché condivisione e vicinanza? Durante tutta la nostra vita cerchiamo di rispondere a questa domanda: «Chi sono io?». Sono quello che faccio? Sono quello che gli altri dicono di me? Sono quello che ho? No e poi no! Tu sei, prima di tutto, l’Amato. Il Padre continuamente ti dice: «Tu sei il mio Figlio prediletto. Tu sei il mio amato Figlio. In te mi sono compiaciuto». Ed è questa la voce alla quale Gesù ha dato ascolto, quella che ha custodito in sé durante tutta la sua vita. La gente lo ha lodato e poi lo ha respinto, l’ha acclamato e poi l’ha crocifisso. Ma Gesù si è aggrappato saldamente a questa certezza: «Qualunque cosa accada, io sono l’Amato, il Figlio di Dio: questo è ciò che sono». E’ stato l’amore del Padre a dare a Gesù la forza di amare sempre più intensamente, anche nella notte del Getsemani. Ecco che cosa ti sta dicendo il Padre: «Ti ho amato di un amore eterno e da tutta l'eternità ho scritto il tuo nome sulle palme delle mie mani. Ti ho tratto dalle profondità della terra e ti ho intessuto nel grembo materno. Tu sei prezioso ai miei occhi e ti amo. Ti abbraccio!». Ascolta questa voce che ti parla da sempre e che ti chiede di considerarti figlio, di saperti figlio amato, fratello tra fratelli: la tua vita diventerà sempre più la vita degli amati da Dio, perché questo è ciò che sei.
(DON UMBERTO COCCONI)


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