"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 13 luglio 2014

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi.

Pubblicato da Don Umberto Cocconi  domenica 13 gluglio 2014  alle ore  5,30

In quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». (Vangelo secondo Matteo)

“In quel giorno”, la Parola di Dio è donata. La formulazione “in quel giorno” sta ad indicare il giorno di Dio, il suo agire, che crea di nuovo l’uomo a sua immagine e somiglianza. La Parola nuovamente feconda la terra, come in quel primo giorno in cui Dio disse: “sia la luce” e la Luce fu. E come prima dei giorni lo Spirito di Dio, la forza di Dio, aleggiava sulle acque, così sulle acque la “Parola fatta carne” ammaestra coloro che si nutrono di essa. Come afferma la Dei Verbum, davvero “Dio ci parla come ad amici”. Col capitolo tredici, del vangelo di Matteo, inizia la sezione delle parabole di Gesù: ne sono enunciate sette. L’evangelista ci racconta che Gesù, in quel giorno, uscì di casa e prese l’iniziativa per andare incontro al suo popolo. Anche la Chiesa è chiamata a uscire dal tempio, per somigliare al suo maestro che “esce” dal seno del Padre e va in mezzo alla sua gente per condividerne la vita. Come afferma papa Francesco  «La Chiesa “in uscita” è la comunità dei discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore , e per questo può fare il primo passo,  può  prendere l’iniziativa senza paura, per andare incontro per cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade ad invitare gli esclusi».
E’ interessante immaginare la scena, con i suoi diversi passaggi: all’inizio Gesù è solo in riva al mare, poi “si raduna attorno a lui tanta folla”, al punto che è costretto a salire su una barca e dopo essersi seduto sulla barca parla di molte cose, mentre tutta la gente sta sulla spiaggia ad ascoltare le sue parabole. Perché Gesù parla in parabole? Perché egli privilegia questo tipo di linguaggio? Per quale motivo lo preferisce ad un parlare diretto ed esplicito? Il vocabolo parabola ha questi significati:  pongo accanto, comparo. La parabola è quindi un genere letterario basato sul confronto e sulla similitudine. «Più volte Gesù parlò in modo allusivo ed enigmatico, “non apertamente”, attraverso il velo delle similitudini: egli diceva e non diceva, svelava e nascondeva, manifestava e occultava» (Paul Ricoeur). Ma perché Gesù usava un simile linguaggio? Potrà sembrare strano, ma per annunciare autenticamente il Vangelo è necessario in qualche misura “velarlo”. Le parabole di Gesù stupiscono e sorprendono e all’ascoltatore lasciano  il compito di comprenderle, in quanto lo interpellano e lo costringono a interrogarsi. Chi ascolta le parole di Gesù è coinvolto nel suo annuncio: sta a lui o a lei “riempire” di significato la parabola, scoprire come questa si cala nella propria esistenza, perché  chi ascolta  viene coinvolto dentro una storia, di cui si sente partecipe. Nella parabola si parte da una realtà divina per giungere a quella umana, la quale diviene, necessariamente, oggetto di una “rilettura”. Dopo il disorientamento iniziale di chi ascolta si giunge alla verità che sorprende  e apre nuovi spazi di vita e di significato. E’ un messaggio, quello delle parabole, che lascia intuire come l’agire di Dio sia caratterizzato dalla gratuità e dalla dismisura nel momento in cui l’immaginazione dell’ascoltatore viene indirizzata  verso nuovi orizzonti. L’esortazione che spesso risuona alla fine delle parabole è, infatti, spiazzante: «Chi ha orecchie per intendere, intenda», cioè «chi è in grado di capire, cerchi di capire». La capolista delle parabole è quella che nell’elenco è posta al primo posto: il seminatore. Dopo aver ascoltato ti chiedi: ma io che terreno sono? Come accolgo la Parola? Che potenza, che fecondità  avrebbe la Parola se venisse accolta nella mia vita? Gli esperti di comunicazione quando trattano l’argomento dell’ascolto parlano proprio di quattro modalità differenti che si possono verificare  tra l’emittente e il ricevente. A pensarci bene sono identificabili proprio con i quattro terreni, di cui ci parla Gesù nella parabola del seminatore. L’ascolto, pertanto, può essere declinato secondo le modalità di un sentire, di un interpretare, di un valutare, di un rispondere, corrispondenti ai quattro tipi di terreni, e anche Gesù elenca quattro modalità diverse di ascolto della parola, ossia quattro modalità differenti di accogliere, da parte di un terreno, il seme. C’è un ascolto passivo, indifferente  -  è il seme che cade sulla strada - che è l’equivalente del “sentire”, quando ci si limita ad udire le parole senza che queste entrino in noi, perché siamo come un muro di gomma. C’è poi un genere di ascolto di tipo selettivo, - rappresentato dal terreno sassoso – quando nel soggetto prevale l’impazienza e l’emotività, per cui la Parola non mette radici profonde, in quanto si ascolta solo ciò che interessa, ovvero si filtra il messaggio. Le preoccupazioni della vita presente, l'attrazione esercitata dall'avere, dal potere, dal possedere, la preoccupazione del guadagnare sono un grande ostacolo alla parola stessa. C’è poi l’ascolto riflessivo, da parte del soggetto che segue la parola secondo il proprio tornaconto o vantaggio:  è il terreno con le spine. Infatti quando ciò che chiede la Parola diventa esigente, responsabilizzante, la si mette da parte in quanto si dà più importanza  ad altre priorità e occupazioni, che finiscono poi per soffocarla. Il terreno buono è rappresentato dall’ascolto attivo: la Parola viene accolta come un dono, e così fruttifica in quanto viene assimilata e produce effetti vasti e imprevedibili, inimmaginabili. Un piccolo seme, come la Parola, se accolto feconda quel terreno su cui cade e produce con abbondanza frutti stupefacenti. Non ti sorprende tutto ciò? Che cosa è capace di fare in te la Parola se tu l’accoglierai? Di certo anche nella tua vita c’è “quel giorno”, in cui qualche cosa di importante di decisivo accade per te, allora potrai avvertire che c’è come un nuovo inizio per la tua vita e tutto da quel momento sarà diverso.
(DON UMBERTO COCCONI)

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