"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 25 aprile 2015

IL VANGELO DELLA DOMENICA: COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI

IL VANGELO DI DOMENICA 26 APRILE 2015
Gesù disse: «Io-Sono il Pastore bello, il Pastore bello espone la sua vita a favore delle pecore. Il mercenario è chi non è pastore, al quale le pecore non appartengono: vede venire il lupo e abbandona le pecore e fugge. E il lupo le rapisce e le disperde, perché è mercenario e non gli interessa delle pecore. Io-Sono il Pastore bello e conosco le mie e le mie conoscono me. Come il Padre conosce me e anch’io conosco il Padre e dispongo la mia vita a favore delle pecore. Anche altre pecore ho che non sono di questo recinto. Anche quelle bisogna che io conduca. E ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo Pastore. Per questo il Padre mi ama, perché io depongo la mia vita per prenderla di nuovo. Nessuno la toglie da me, ma io la depongo da me stesso. Ho il potere di deporla e ho il potere di prenderla di nuovo. Questo comando ho preso da parte del Padre mio». (Vangelo secondo Giovanni)
Queste immagini: il pastore, le pecore, il gregge, l’ovile, non significano molto per noi post-moderni. L’uomo, però, anche oggi segue pur sempre un pastore, cioè un modello che lo guidi. Il problema che si pone, quindi è questo: chi sto seguendo, chi è il mio pastore? Gesù dice di essere (Io-Sono, il nome di Dio!) il pastore bello, non “buono”, alla lettera proprio “bello”! E la prova della sua suprema Bellezza-Bontà è proprio il fatto che manda fuori le pecore dal recinto. Metaforicamente, Gesù propone all’uomo una libertà da tutti i recinti: lui è il Dio della libertà, che chiama ciascuno ad uscire dalle proprie prigioni, per giungere alla pienezza della vita, alla terra “dove scorre latte e miele”. I grandi del mondo, i capi religiosi e politici, tengono l’uomo prigioniero, rinchiuso dentro un ovile, sotto il loro controllo, sotto il loro dominio. Gesù al contrario vuole liberare ogni individuo “dal belato comune” e inautentico, imposto dai detentori del potere:la Verità sola rende liberi! Gesù si propone come il vero pastore, perché “espone” la sua vita per le pecore, le difende perché le ama, e per questo “dispone” della sua vita a loro vantaggio, per cui la “depone” per loro. Questi tre verbi, esporre, disporre, deporre, sono costituiti dal verbo porre preceduto da tre diversi prefissi che gli danno una connotazione particolare. Hanno tutti e tre come oggetto la parola vita: è la vita del pastore bello ad essere da lui stesso esposta, disposta, deposta. La parola pastore, inoltre, ha in sé il concetto del nutrire, perché è proprio lui quello che porta al pascolo le sue pecore e dà loro il cibo. Queste tre azioni, dunque, rimandano a tre momenti diversi dell’unica azione del nutrire. In questo caso, è il pastore a consegnare la sua vita, che non la tiene per sé,ma la offre ponendola all’altezza della bocca delle pecore. 

E’ Lui che si china per dare se stesso come cibo. Le pecore che si nutrono della vita del pastore possono vivere così la sua stessa vita, in quanto Gesù mette la propria vita a rischio, senza pensare di salvare se stesso. Dio è Dio in quanto non salva se stesso, ma si dona per salvare gli altri!La prima caratteristica del bel Pastore, quindi, è quella di “esporsi”, cioè di porsi fuori, di uscire allo scoperto: non s’imbosca, non ha paura di mettere la propria esistenza a repentaglio. Non è come il mercenario,che non solo, non ama le pecore, ma le considera un puro oggetto di speculazione. Infatti quando c’è da guadagnare, eccolo pronto ad arraffare, quando rischia di perdere, ecco che si ritira e fugge. Gesù non è un funzionario che lavora in cambio di uno stipendio, senza avere realmente a cuore le pecore: no, egli è un pastore autentico, perchè non vive del ruolo né della funzione rivestita, ma s’impegna in una relazione finalizzata al bene delle sue creature, fino a condividere tutta la vita con il proprio gregge e a divenire per lui un agnello mite e indifeso. Insomma, il pastore buono e bello è venuto per servire: la sua autorità consiste nel far crescere quanti gli vengono via via affidati. Il suo compito è di farli vivere in pienezza e la modalità del suo servizio è quella di spendersi per loro “fino alla fine”. E le nostre relazioni, di che tipo sono? Sono mercenarie o sono da “pastore bello”? Spesso, infatti, constatiamo che finché c’è un interesse, il nostro, restiamo dentro a una determinata situazione, poi se ci accorgiamo che il rischio è alto, non stiamo più al gioco. 

La parola interesse ha il significato di “essere tra, creare relazione con …”. Cosa c’è tra me e l’altro? Mi sta a cuore oppure ho a cuore semplicemente il mio io, il mio tornaconto, e l’altro è funzionale ai miei interessi? Sono forse io il mercenario-lupo che sbrana e distrugge? L’amore che Gesù ha per ciascuno di noi, invece, è lo stesso amore che il Padre ha per lui: questa è la sua vita. L’amore che il Padre ha per il Figlio e che il Figlio ha per il Padre e lo stesso che Lui ha per noi. Il suo desiderio però è che anche noi abbiamo per Lui il medesimo amore, in modo che tra noi e lui, tra l’uomo e Dio, circoli un unico Amore, un’unica Vita divina. “Disporre” significa che il Pastore bello “cede i diritti” sulla propria vita agli altri, in questo caso alle sue pecore. Sono le pecore a diventare proprietarie del Pastore! Il Pastore si mette nelle mani delle pecore, anzi, più ancora, “nella loro bocca”. Il buon pastore diventa cibo e vittima, agnello offerto, per questo “depone” la sua vita nella greppia della mangiatoia, per diventare nutrimento per tutti gli uomini, anche per quelli che noi consideriamo nemici e lontani, abbattendo così ogni steccato. Dio non ha nemici, non fa guerra– né santa, né giusta - a nessuno: ha solo figli da amare, ai quali dona la sua stessa Vita e il suo stesso Amore. Non vi deve essere che una razza al mondo: quella dei figli di Dio! Tutta l’umanità è costituita da figli di Dio, e quindi è chiamata a diventare un insieme di fratelli e sorelle. Si può fare la globalizzazione sotto il segno del ladro e del brigante, e questa la conosciamo bene, oppure sotto il segno della fraternità, che è l’esatto contrario: dobbiamo scegliere quale delle due vogliamo. Il Figlio di Dio, l’Agnello, che ha redento il mondo, ha deposto se stesso nella mani degli uomini, ed è sceso dal cielo, per portare sulla mensa dei figli di Dio, il Pane della Vita. Nell’immagine del bellissimo Pastore-Agnello eucaristico è riassunta tutta la vicenda di Gesù, immagine che noi siamo sempre chiamati a contemplare, per poter compiere la nostra scelta e dirigere la nostra vita verso la libertà.
(DON UMBERTO COCCONI)

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