"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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Tgnèmmos vìsst
Al salùt pramzàn äd parmaindialetto.blogspot.com

“Parmaindialetto” è nato il 31 luglio del 2004. Quest’anno compie 16 anni

“Parmaindialetto” l’é nasù al 31 lùjj dal 2004. St’an’ al compìssa 16 an’

Per comunicare con "Parmaindialetto" e-mail parmaindialetto@gmail.com

L’ UNICA SEDE DI “Parmaindialetto” SI TROVA A PARMA ED E' STATO IDEATO DALLA FAMIGLIA MALETTI DI “PÄRMA”.







sabato 31 ottobre 2015

IL VANGELO DELLA DOMENICA. COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI.


Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:«Beati i poveri in spirito,perché di essi è il regno dei cieli.Beati gli afflitti,perché saranno consolati. Beati i miti,perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,perché saranno saziati. Beati i misericordiosi,perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore,perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace,perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia,perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. (Vangelo di Matteo)

·         La felicità del cielo è preparata per coloro che seppero essere molto felici sulla terra. Ma che cosa significa “beati”? Beati vuol dire felici.
·         Aspiriamo seriamente alla felicità … quella vera? In un tempo in cui si è attratti da tanti paradisi artificiali, si rischia di accontentarsi del poco, di avere un’idea “in piccolo” della vita beata. Non possiamo “vivacchiare”, ma vivere!
·         Dobbiamo avere il coraggio di essere veramente felici sul serio. «Dite no alla cultura del provvisorio, della superficialità e dello scarto, che non vi ritiene in grado di assumere responsabilità e affrontare le grandi sfide della vita!» (Papa Francesco).
·         A questo proposito Fedor Dostoevskij, ne I fratelli Karamazov, presenta il racconto de Il Grande Inquisitore: «Ma tu non hai voluto privare l’uomo della sua libertà e hai rifiutato questa proposta di satana perché hai pensato: dove sarebbe la libertà, se il consenso fosse comperato con il pane?». La parabola del Grande Inquisitore ci racconta di come l’uomo abbia paura di quelle cose in relazione alle quali è messo di fronte a una scelta complessa e ardua, preferisce il "si fa così” anzichè “io scelgo di fare così”, preferisce quasi essere comandato, seguire le mode cosiddette imperanti.
·         Nelle Beatitudini evangeliche ci imbattiamo in un programma di vita “nuovo, puro e intenso” e un modello di felicità contrario alla logica del mondo. Quelli che Gesù chiama “beati” il mondo li definisce “inutili, perdenti”. Il mondo glorifica “il successo ad ogni costo, la ricchezza, il potere” e “l’affermazione di se stessi a scapito degli altri”.
·         Gesù, invece, ci offre una definizione molto differente dell’essere beato: mostra la via per la vita e la felicità autentica. Anzi, è Gesù stesso la “via” e attraverso la sua esistenza ci ha mostrato concretamente come vivere ciascuna delle Beatitudini.
·         Afferma Ignazio Silone: «Se il cristianesimo viene spogliato delle sue cosiddette assurdità per divenire gradito al mondoe adatto all’esercizio del potere, cosa ne rimane? La ragionevolezza, il buon senso, le virtù naturali esistevano già prima di Cristo e si trovano anche ora presso molti non cristiani. Che cosa ci ha portato Cristo in più? Appunto alcune apparenti assurdità. Ci ha detto: amate la povertà, amate gli umiliati e gli offesi, amate i vostri nemici, non preoccupatevi del potere, della carriera, degli onori, delle cose effimere, indegne di anime immortali». Cosa resta della croce di Gesù se essa,intarsiata di gemme, viene incastonata in una corona d’oro?
·         Chi sono i “poveri in spirito”? Essi sono coloro che avendo posto in Dio ogni speranza, sono disponibili” all’impossibile di Dio”, sono disponibili a far proprie le “logiche illogiche” del Vangelo. L’atteggiamento che il Signore ci chiede è quello di spalancare il nostro cuore al mistero di Dio, che ci rende semplici e umili, che ci fa capaci di affidamento, di abbandono, di attesa di Dio.
·         Pertanto chi possiede, chi è sicuro di sé, chi è barricato nei suoi privilegi e teme sempre di essere disturbato e di veder vacillare il trono che si è conquistato, si chiuderà di fronte alla proposta nuova e coraggiosa del Vangelo.
·         Chi invece ha imparato a non contare su se stesso – è costui il “povero in spirito” - chi ha imparato a conoscere la fragilità umana è aperto alla novità del Regno. Il messaggio di Gesù non è “oppio dei popoli”, ma è adrenalina per i popoli, è ciò che mette in circolo energie, forze vitali capaci di cambiare la società, di subire la persecuzione a causa della giustizia.
·         L’umanità può essere salvata solo da uomini che rifiutano la forza, che proclamano con l'attenzione al prossimo (con la compassione verso lo sventurato), che è possibile opporre alla forza bruta una forza più grande, “la forza dell’amore”.
·         Il grande Rabbi Sussja, in punto di morte, proferì le seguenti parole: «Nel mondo futuro non mi si chiederà: "Perché non sei stato Mosé", mi si chiederà invece "Perché non sei stato Sussja?». Diventare noi stessi, affinché Dio possa parlare attraverso le nostre parole, le nostre azioni e i nostri pensieri, è questo il modello di vita che Gesù ci propone e per il quale anche noi saremo chiamati “beati”.
·         Anche nel quotidiano della tua vita, non ti viene chiesto conto del fatto che tu abbia o no eguagliato grandi personaggi, ma se sei stato fedele a quello che sei, se hai saputo riconoscere e condividere il meglio di te stesso.
·         Diventare ciò che siamo significa vivere la nostra vita personale da protagonisti, in prima persona, se ciò non lo facciamo accadere, non saremo liberi, né tantomeno beati.
(DON UMBERTO COCCONI)

I 25 ANNI DELLA COOP A COLLECCHIO FESTEGGIATI IN DIALETTO PARMIGIANO CON MIRKO, RICO, BAROZ, e LUCA DI "IO PARLO PARMIGIANO" E ENRICO MALETTI


MIRKO, RICO, BAROZ, e LUCA DI "IO PARLO PARMIGIANO" E ENRICO MALETTI, OSPITI ALLA COOP DI COLLECCHIO PER IL 25° COMPLEANNO. HANNO COINVOLTO IL PUBBLICO NELLA GALLERIA DELL'IPERMERCATO, INTERROGANDOLO SULLE PAROLE E I MODI DI DIRE E PRESENTANDO I DOPPIAGGI DAL VIVO IN DIALETTO. ALLA FINE UN RINFRESCO CON UNA MAXI TORTA. 

(CLICCA SULLE FOTO PER INGRANDIRLE)



Tgnèmmos vìsst

Cuand riväva in Dòm la Madònna äd Fontanlè in-t-i ani sincuànta. Testo pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 31 Ottobre 2015 nella rubrica "Tgnèmmos vìsst."



(TESTO IN DIALETTO PARMIGIANO)
Cuand riväva in Dòm la Madònna äd Fontanlè in-t-i ani sincuànta.
Foto stòrica indó al Dòm äd Pärma dobè con dìll stòfi pregiädi, piss e fiòch in porporén'na par l'ariv ädla Madònna äd Fontanlè in Dòm in-t-i ani sincuànta. In chi ani lì p'r i avenimént a gh' éra l'uzànsa äd dobär il cézi äd Pärma e provincia con dìll stòfi pregjädi. I Dobadór uficjäl ädla Curia Vescovil äd Pärma, con ala gvida alóra al Vèsscov Monsgnór Evasio Colli, l'éra la famija Maletti, con al pädor Cav. Gino e i du fjój Livio e Tiziano, (Egidio). La foto ch' la vén da l'archìvvi äd famija d' Enrico Maletti, l'é ädj ani sincuànta, in ocazjón ädla stmàna Mariana äd cl' an' lì e l' arìv ädla Madònna äd Fontanlè. As' vèdda bén bombén la pozisjón äd l'altär, cuand al pret al dzèva mèssa äd spali ai fedél, e la balavùsstra con la canceläda indó i fedél i s' inzociävon par ricévor la Sacra Comunjón.
Tgnèmmos vìsst


(TESTO IN ITALIANO)
Quando arrivava in Duomo la Madonna di Fontanellato negli anni cinquanta.
Foto storica che raffigura il Duomo di Parma addobbato di stoffe pregiate, trine e fiocchi in porporina per l'arrivo della Madonna di Fontanellato in Duomo negli anni cinquanta. In quegli anni per gli avvenimenti si usava addobbare le chiese di Parma e provincia con stoffe pregiate. Addobbatori ufficiali della Curia Vescovile di Parma, con alla guida l'allora Vescovo Monsignor Evasio Colli, era la famiglia Maletti, composta dal padre Cav. Gino e dai due figli Livio e Tiziano, (Egidio). La foto che viene dall'archivio di famiglia di Enrico Maletti, è degli anni cinquanta, in occasione della settimana Mariana di quell' anno e dell' arrivo della Madonna di Fontanellato. Si noti la posizione dell'altare, quando il Sacerdote celebrava la Santa Messa con le spalle ai fedeli, e della balaustra con la cancellata dove i fedeli si inginocchiavano per ricevere la Sacra Comunione.

martedì 27 ottobre 2015

CAMPIONATO DI SERIE "D" 2015/ 2016 "Il Pagéli di Crozè in djalètt Pramzàn": Lentzón - Pärma Calcio 1913 - 0-3 Testo pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 27 ottobre 2015.


(TESTO IN DIALETTO PARMIGIANO)

Lentzón Pärma 0-3

Zommers déz : äd sòlit il parädi decizìvi at' j à fäv dòpa al novantézim, jerdlà invéci at' j é fati a l’inìssi e che parädi, intarvént pròprja da campjón, a n’é mìga ch’ it' vénon a sarcär béle a znär ah ? parchè in A at' gh’é da rivärogh con al Pärma sénsa ciapär di scurtón

Mesén'na òt : tant par dir cme vojätor under a sì fat con al stampén, mi e un me amigh par tùtta la partìda a t’èmma ciamè Adorni e sa ’n riguärd mìga la partìda cuand a son tornè a ca', adésa a sariss adrè a fär la pagéla ad Adorni

Caciól déz : un gol ch' al väl òr, mo ancòrra äd pù 'na partìda meraviljóza, parfét in marcadura, dur e tgnìss cme un vér stopper, si parchè ti a né t' si mìga un “centräl difensìv” cme as' diz adésa, at' si un stopper cme da chi indrè, ch' l’é un po’ la difarénsa ch' a pasa da un “operatore ecologico” a 'n “spasén”

Lucaréli òt : adésa a t’ al digh, al tó prìmm gol a l’äva batzè jerdlà con al Lentzòn, am' són zbaljè äd sìnch centimèttor, p'r al rést un po’ insognént al prìmm témp par po’ salir in càtedra al second !

Saporètt sètt : al compitén e pòch ad pù, mo séns' ätor a gh’éra l’ordin äd scuderia äd fär al tarsén ( mìga “l’esterno basso”, as' diz tarsén dailà ) sénsa zburlär trop; al sät che vìsst da 'zvén at' pär còll ädla tèrsa C dai cavji ròss ??

Miliètta nóv :adésa ch' l’é 'drè mèttor la märcia giùssta as' taca a vèddor la cualitè dal zugadór, decizamént äd n’ätra categorja; a pär ch’ al camén'na in méza al camp mo al gh' à la calamìtta e tutt i balón i gh' van adòs e po’ al gh' à la capacitè äd där cualitè a tutt il zugäda !

Giorgén déz : déz partìdi novsént minud, balón zbaljè in déz partìdi zéro ! votasjón déz ! a l’artór'n a dir, in sèrja B e anca in sèrja A as' vèdda parècc' medjàn meno fort che Giorgén

Ricci séz : da äla sinìsstra ( o da “esterno alto di sinistra” cme a va äd moda ) at' rendi un po’ meno, second mi at' sarvìssa 'na parténsa lanciäda par réndor al masim, tant at' gh’é gamba, tésta e pè par fär la fàsa da ti sénsa fadiga

Lauria sètt : parfét in méza al lìnei tra centorcàmp e atach, sinisstor delisjóz e un tir ch’ al pól fär mäl in cualùnncue momént, tricuärtìssta, nùmmor déz, fantazìssta , a gh' manca un pär äd gol in pù e po’ l’é asolutamént parfét

Baraye séz : seconda partìda col freno a man tirè, e si che specialmént jerdlà l’éra la tò partìda ; trop ält e bas p'r al momént, e l’é un pchè, parchè al potensjäl l’é da formula vón

Longobärd déz : par còll ragas chi a gh’é da inventär un ról nóv, cme a centorcàmp a gh’é al “centromediano metodista”, lì davanti lù l’é al centratàch metodista, al vér regìssta dal repärt, inteligént, generóz, concrét, carizmàtich, decizìv; la còza strana l’é cme mäj un zugadór acsì l’àbia pasè la so carjéra tra la D e la lega pro, còsste chi l’é un mistér dabón

Apolón déz : l’é véra che chì a gh’é 'na róza da Lega Pro, l’é anca véra che po’ vénsor a n’é mäj facil e vénsor cme sèmma adrè fär nojätor ancòrra äd pù, parchè la scuädra la zuga sémp'r al balón, la gh'à sémpor la bala lè, la ’n ciapa mìga gol su asjón, insomma Gigi p'r adésa a sèmma al lìmmit ädla perfesjón, a né t' résta che tgnir älta la tensjón e andär avanti acsì

CARICA CROCIATI
(Tgnèmmos vìsst)
(Testo di Crociato 63)
(Correzione ortografica a cura di Enrico Maletti)

domenica 25 ottobre 2015

IL VANGELO DELLA DOMENICA; COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI.



E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». E Gesù gli disse: «Và, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada. (Vangelo di Marco)

1.  C’è un grido che si alza dal profondo dell’abisso, un grido che si leva dalla terra di schiavitù, qualcuno lo ascolterà?
2.  Il grido del povero è scomodo, non piace.
3.  Anche oggi sono tanti quelli che gridano, ma sono “grida silenziate” che entrano nelle case, nelle chiese, nella città, nel consesso dei potenti.
4.  Sono tanti quelli che hanno smesso di ascoltare, che si sono turati le orecchie per non udire il grido del povero.
5.  Questi disturba, interpella per un cambiamento, per la conversione.
6.  C’è qualcuno che ascolterà il grido nella notte?
7.  Sì, c’è qualcuno che si ferma, che ti viene a cercare, non sei più solo.
8.  E’ ciò che ha sperimentato il cieco Bartimeo che era seduto lungo la strada a mendicare, che grida, anzi gridava “Abbi pietà di me”, intorno a lui però indifferenza, peggio ancora lo zittiscono, silenziano il suo dolore.
9.  Ma lui con tutta la voce che ha in corpo gridava, e il suo urlo giunse a toccare il cuore dell’uomo di Nazaret. 
10.                 Gesù è in movimento, sta uscendo dalla città di Gerico, Bartimeo invece è in una posizione statica è seduto al lato della strada, è quindi apparentemente impossibilitato ad entrare in contatto con lui, alla fine scopriremo che i due personaggi si uniscono:
11.                 il cieco guarito ora segue Gesù sulla sua strada. Bartimeo  ha udito, forse dalla folla che passa, che è presente Gesù il Nazareno, al di là della sua realtà umana, “vede”, lui il non-vedente,  qualcosa del mistero della sua persona che altri, che dicono di vedere, non vedono.
12.                 Per questo per due volte grida: «Figlio di Davide Gesù, abbi pietà di me»; la seconda volta il verbo gridare è all'imperfetto così da sottolineare la continuità dell'azione.
13.                 In questo grido, che è ripetuto nonostante la folla cerchi di metterlo a tacere, sentiamo un'espressione della fede capace di superare ogni ostacolo, una preghiera dal sapore liturgico: «abbi pietà di me».
14.                 Chiamare Gesù, Figlio di Davide, equivale a riconoscerlo come Messia, non tanto Messia glorioso destinato a vincere i nemici oppressori, ma Messia capace di chinarsi, con misericordia, sulla debolezza e sui bisogni degli uomini.
15.                 Il suo grido ostinato è soprattutto una confessione di fede, perché proclama Gesù  Figlio di Davide che era il titolo più comune che la gente dava al Messia.
16.                 Gesù non reagisce come con i demoni imponendogli di tacere, ma lascia che lui sveli il segreto messianico: smaschera la sua identità.
17.                 Il Maestro si ferma e dice: “chiamatelo”.
18.                 Proprio a coloro che prima volevano farlo tacere dà l’ordine di avvicinarlo a sè.
19.                 La chiamata di Gesù avviene attraverso la parola di altri, ma chi chiama è sempre lui, mediante la sua parola.
20.                 È la prima volta che l'evangelista segnala una sosta di Gesù durante il cammino di salita verso Gerusalemme: di fronte al grido di questo cieco, Gesù interrompe il viaggio per ascoltarne la supplica.
21.                 Sembra che non sia più il cieco a cercare Gesù, ma è Gesù che cerca il cieco: lo chiama, interviene e coinvolge altri perché questa sua chiamata possa ottenere il suo effetto.
22.                 Questi chiamano il cieco dicendogli: “confida, svegliati, chiama te”. Balzato su  per aver udito la voce e la chiamata di Gesù, questo cieco prende la forza per vincere la propria immobilità. Il verbo “balzare” esprime proprio l’idea dell’alzarsi in piedi improvvisamente: espressione di celerità nella risposta. Il cieco getta via il suo mantello, è un gesto carico di significato: il mantello per il povero è la sua ricchezza,è la sua casa,è la sua “casula” (piccola casa), è il suo bene inalienabile.
23.                 Si è spogliato di tutto, di tutte le proprie sicurezze, ha riposto solo in Gesù la propria fiducia.
24.                 Questa formula «che cosa vuoi che ti faccia» è sempre usata nel Vangelo di Marco per scandagliare l'animo della persona e portare alla luce le motivazioni profonde del suo agire.
25.                 La domanda sembrerebbe inutile poiché un cieco non può che chiedere la vista, tuttavia Gesù la pone perché il cieco espliciti il suo desiderio e ne lasci intravedere uno più profondo di quello che immediatamente si potrebbe intuire.
26.                Bartimeo mostra così di credere che Gesù è il Messia, il compimento di tutte le promesse di Dio, colui nel quale si fa presente la misericordia di Dio per gli uomini.
27.                 Credere significa vedere, ma soprattutto seguire Gesù. L’uomo ritrova la sua statura: è passato dalla oscurità alla luce, dall’immobilità al cammino, dalla solitudine alla appartenenza nella comunità dei discepoli e dei seguaci di Gesù.
28.                 La potenza di Dio ha trasformato un uomo senza potere in un discepolo coraggioso, egli diventa il vero discepolo che si mette al seguito del proprio maestro sulla strada che porta a Gerusalemme.
29.                 Che cosa accadrà a Gerusalemme? Ora lo possiamo contemplare: i nostri occhi si sono aperti.
(DON UMBERTO COCCONI)

Tgnèmmos vìsst

sabato 24 ottobre 2015

INVITO ALLA PRESENTAZIONE DELLA 36° EDIZIONE DEL "LUNARIO PARMIGIANO 2016" DI PARMA NOSTRA




Il Presidente dell’Associazione Culturale
PARMA NOSTRA”
Renzo Oddi

Rivolge l’invito
alla presentazione della 36° edizione
LUNARIO PARMIGIANO 2016”
che si terrà
Venerdi’ 30 Ottobre 2015
alle ore 17,30
presso l’Aula Magna dell’Università di Parma
in via Università, 4

Relatore
Prof. Marzio Dall’Acqua
Già Presidente Accademia Belle Arti di Parma
Già Direttore dell’Archivio di Stato di Parma

Esibizione dei cori
Voci Bianche della Corale Verdi
e coro Verdi Melodie dell’Istituto
Comprensivo Parmigianino
diretti dalla Maestra Beniamina Carretta

Al termine della manifestazione
ai presenti verrà offerto
in omaggio una copia del
Lunario Parmigiano

Tgnèmmos vìsst

SAPETE COSA VUOL DIRE IN DIALETTO PARMIGIANO???



Sapete cosa vuole dire in dialetto parmigiano la parola “CÌSSPA ÄDJ ÒC'”. In Italiano “ CÌSSPA ÄDJ ÒC“ vuole dire avere le “PAPOLE AGLI OCCHI” 

Sapete cosa vuol dire in dialetto parmigiano la parola "GARGÒTA". In Italiano "GARGÒTA" vuole dire ”OSTERIA o TAVERNA, LUOGO FREQUENTATO DA PERSONE VILI O DI MALAFFARE”. (QUESTA PAROLA PROBABILE DERIVI DAL FRANCESE “GARGOTE” ). 

Sapete cosa vuol dire in dialetto parmigiano la parola “ZONZÌAIn Italiano la parola “ZONZÌA” vuole dire “GENGIVA”. 

Sapete cosa vuol dire in dialetto parmigiano la parola "BAZLÈTTA” . In Italiano la "BAZLÈTTA” è “IL MENTO . Da non confondere con la parola "BARZLÈTTA” che vuole dire "BARZELLETTA"

Sapete cosa vuole dire in dialetto permigiano "FÄR BUGÄDA". In Italiano "FÄR BUGÄDA" vuole dire “FARE IL BUCATOQUANDO NON ESISTEVANO LE LAVATRICI LE DONNE LAVAVANO I PANNI SULLE RIVE DEI CANALI E VENIVANO CHIAMATE IL (BUGADÄRI) 

Grazie agli amici di Facebook e a www.gazzettadiparma.it che mi seguono


Tgnèmmos vìsst 

venerdì 23 ottobre 2015

6 LEZIONI DI DIALETTO AL LICEO ROMAGNOSI



FOTO DI GRUPPO DELLA CLASSE 5° GINNASIO DEL LICEO ROMAGNOSI PER LA SECONDA DELLE 6 LEZIONI DI DIALETTO PARMIGIANO. INSIEME AGLI STUDENTI, I DOCENTI MIRKO LERAGHI, RICO MONTANINI E DANILO BAROZZI (BAROZ), DI GRUPPO "IO PARLO PARMIGIANO"E L'ESPERTO DI DIALETTO ENRICO MALETTI. LE ALTRE LEZIONI SI SVOLGERANNO GIOVEDI 19 OTTOBRE E I GIOVEDI 5/ 12/ 19 NOVEMBRE SEMPRE PRESSO IL LICEO ROMAGNOSI IN VIALE MARIA LUIGIA. 

(CLICCA SULLA FOTO PER INGRANDIRLA)



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martedì 20 ottobre 2015

DALL'AMICO GIORGIO CAPELLI RICEVO UNA FOTO DEI "THE SNAKES" DEL 1962 CON ENRICO CELEBRANO SCOMPARSO IERI. GIORGIO CAPELLI RICORDA DEL " il maestrino Richén " UNA PROFONDA E SINCERA AMICIZIA, (COSA MOLTO DIFFICILE OGGI).


PER RICORDARE ENRICO CELEBRANO SCOMPARSO IERI, PER GLI AMICI " il maestrino Richén ", DALL'AMICO GIORGIO CAPELLI RICEVO UNA FOTO DEI "THE SNAKES" DEL 1962 SCATTATA ALL'AUP DI VIA CAVESTRO, DOVE CELEBRANO E' IL SECONDO DA DESTRA, ALLA SUA DESTRA GIORGIO CAPELLI E IL MITICO "CORVO" ANGELO RAVASINI, DUE ANNI PRIMA DELLA NASCITA DEL COMPLESSO "I CORVI". MENTRE L'ALTRA FOTO PRESA DALL'ALBUM FOTOGRAFICO STORICO DI CLAUDIO BENASSI "TRITOLO", DA SINISTRA CLAUDIO BENASSI, "TRITOLO", FABRIZIO LEVATI "BILLO O FIGARO", ENRICO CELEBRANO, E ANGELO RAVASINI, FUTURO "RAGAZZO DI STRADA". GIORGIO CAPELLI RICORDA DEL " il maestrino Richén " UNA PROFONDA E SINCERA AMICIZIA, (COSA MOLTO DIFFICILE OGGI).
E.M.

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Tgnèmmos vìssst

CAMPIONATO DI SERIE "D" 2015/ 2016 "Il Pagéli di Crozè in djalètt Pramzàn": Pärma Calcio 1913 - Forlì 0-0 Testo pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 20 ottobre 2015.



(TESTO IN DIALETTO PARMIGANO)

Pärma - Forlì 0-0

Zommers séz : jerdlà it’ àn mìss pù paura che in-t-ilj òt partidi prìmma, socuànt intarvént avtoritäri e vón da zgrizór, mo pù che ätor a mé gnù in mént a chi 't sumìlli, mo da mat, e cära al mé complimént ch' at' fagh, adritùra a un campjón dal mond, mo anca cme movimént e anca ala petnadura e tutt at si compagn a Taffarel, no fa ti !

Adorni sìncov : e purtrop a scàpa al prìmm sìncov äd la stagjón, un po’ Ricci ch' al té fäva da turàs, un po’ ti ch' at' gh' äv il gambi chi tarmävon, insòmma 'na partìda indó gh’éra da vivor äd prepoténsa at' paräv l’ozlén dal frèdd! Dai su forsa l' òmmo ch' at' gh’é darsètt an' at' gh’arìss da vivor äd prepoténsa in camp

Caciól òt : super partida contra di zugadór rognóz e 'na scuädra ch’ la zugäva a ripartìr, cioè la còza ch’ la t’ va pù äd travèrs, e invéci partìda parféta, corsa un po’ zgrasjäda mo con äd l'òvra e ecesjnäla

Lucaréli déz : anca se la diféza ädla curva la podrìss costär cära, un gést da Capitàn coragjóz cme sémpor, p'r insgnär l’educasjón e cme se sta al mond a un ragasén siochètt e mälduchè; par vón acsì a gh' vrìss vón cme Couto a saltär su un corner, ch’ al gh' é faga sintìr cme j’en dur i gòmmod in-t-il zonzjj

Saporètt séz : 'na volta i t' àn oblighè anca a diféndor e cme difati a sé vìsst ch' a né t' s’ér pù abitvè e un po’ a té tribulè; po’ restè in déz a sarvìva äd pù n’ ät'r atacant e at' si andè a fär la dòccia prìmma che ch’j ätor, còza che l’an' pasè l’ariss fat pjazér a parècc', parchè con al gat e la volpa ch’ in pagävon gnanca il bolètti, si vrävon fär la dòccia cälda parècci volti ai zugadór a gh’é tochè d' andär a l’Audace

Ricci sìncov : in socetè con Adorni, mo l’é un sìncov äd stìmma e d’incoragiamént anca par ti; al prìmm témp trop ält e dato che second mi ormäj it' conòsson tutt ch' at' si bón bombén it' gnävon a marcär semp'r in du : in concluzjón 'na domenica storta !

Giorgén sètt : at' gh’é mìss la tésta fin in fonda, té sarchè äd ragionär mo sé ch’j ätor i mètton su al fort Apache, ragjonär a dvénta n’impréza, ti at' gh’é provè e a té gh' l’é anca caväda mo njént da fär

Corapi sètt : cuant legnädi té ciapè jerdlà ? epur at' paräv äd gòmma, at' stäv su e t’andäv pù fort che prìmma, cme un cartón animät; a l’artórn a dir, zugadór äd n’ätra categoria, anca in sèrja A a n’ ò visst di pés, anca con la maja crozäda adòs, anca l’an' pasè e pù 'd vón

Melandri sìncov : srà stè ch' a té patì la coza d’ ésor un ex, srà stè cóll ch' at' né vója, mo dal belìssim zugadór vìsst fin ala partìda prìmma, domenica at' paräv al zmél pù balord, gnanca un spónt, gnanca un cròss, njénta, invizìbbil

Baraye sìncov : purtrop la giornäda con la vén'na strìcca, anca in ch’ la còza chi at' gh’é un cuél äd Tino che cuand a 'n n' éra mìga giornäda a ’n gh’éra né sant né madònni, l’éra méj tirärol zò dòpa déz minud, e uguäl ti jerdlà, té t' si sémp'r intestardì a sarcär dìll zugädi sénsa séns

Longobärd òt : che zugadór ragas, at' gh’é anca la bärba da Che Guevara, un lotadór ecesjonäl, pù äd 'na volta at' si artornè in diféza a evitär di contropè al Forlì, ùnnica péca p'r adésa l’é ch' at' tir poch in porta, ecco at' dovrìss fòrsi portär apén’na meno la cróza e cantär un po’ äd pù

Apolón séz : sinceramént a ’n capiss mìga có t’ariss podù fär par cambjär l’andamént ädla partìda, però mi a 'n fagh mìga l’alenadór, acsì a t’al dmand a ti, anca sé par tirärja fóra dal bunker fòrsi a sarvìva un bombardamént e po’ e po’; e m’arcmand par domenica ch' vén, la srà 'na partìda un po’ speciäla mo la vól vénsa, in-t-na manéra o in ch' l’ätra, a vól véns e basta acsì

Frambo sincuanta : podèmma fär j’avguri pr’un complean speciäl a un “ragas” veramént speciäl, cór pramzàn e tifóz dal Pärma fin ala maròlla ? tant avguri Frambo, da pärta mèjja e séns ätor da pärta äd tutt i pramzàn

CARICA CROCIATI
(Tgnèmmos vìsst)

(Testo di Crociato 63)
(Correzione ortografica a cura di Enrico Maletti)