"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 12 dicembre 2015

IL VANGELO DELLA DOMENICA: COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI.


Le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». (Vangelo secondo Luca)

1.       “Che cosa dobbiamo fare?” chiedono in tanti a Giovanni Battista. Mi verrebbe da dire: “Usate la testa, pensate!”. «Non c’è nulla di più comodo che non pensare» (Simone Weil).
2.       Bisognerebbe avere il coraggio di far uso del proprio intelletto, contro un pensiero servile: il vero peccato, la tentazione quasi irresistibile è proprio non accettare il rischio di pensare.
3.       L’uomo preferisce vivere in uno stato di minorità, piuttosto che accettare il rischio «di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’illuminismo» (Immanuel Kant).
4.       Non dovremmo sostituire la luce interiore della coscienza, che ci dovrebbe guidare nella ricerca della verità e della giustizia, con il dogma custodito dall’istituzione che chiede di "affidarsi" a lei in toto. Per pigrizia, per comodità tante volte ci si affida  a verità ufficiali o peggio ancora ognuno pare “murato” nelle proprie convinzioni stabilite e per questo si sente sollevato dalla fatica della personale ricerca e non accetta di ri-mettere in discussione le proprie convinzioni.
5.       L’uomo – secondo il pensiero di Kant – se vuole essere tale deve rispondere proprio a queste tre domande:  la prima verte sul conoscere: “Che cosa posso sapere?”; la seconda è di natura squisitamente etica: “Che cosa devo fare?”.
6.       Se ci pensiamo bene, questa è la stessa domanda che la gente rivolge al Battista, infatti chiede come comportarsi di fronte alle molteplici situazioni della vita. Kant sottolinea che il valore di un comportamento etico non riguarda tanto le cose che si devono fare, ma l'intenzione e il modo con cui si deve agire.
7.       Non basta che un'azione sia fatta esteriormente secondo la legge, ovvero in modo conforme a essa, al contrario implica un coinvolgimento personale, per questo Kant formula un assioma di altissimo valore: «Agisci in modo da considerare l'umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre come scopo, e mai come semplice mezzo».
8.       In altri termini: rispetta la dignità umana che è in te e negli altri, evitando di ridurre il prossimo o te stesso a un semplice strumento. La terza domanda kantiana verte sul “Che cosa posso sperare?”. Puoi sperare nel fatto che Colui che verrà ti battezzerà nello “Spirito Santo e nel fuoco”. Il suo non sarà come quello di Giovanni un battesimo di acqua e di penitenza, ma il Cristo “battezzerà in Spirito Santo e fuoco”.
9.       Che cosa vuol dire essere battezzati nello Spirito Santo e nel fuoco? Lo Spirito Santo è il simbolo dell’amore, mentre il fuoco è calore, è luce che dà la vita, illumina, riscalda, brucia, trasforma, unisce. In noi c’è bisogno di ambedue queste azioni: distruggere quello che di vecchio c’è in noi, incenerire le paure, le debolezze, la nostra tiepidezza, i nostri dubbi, per poi purificare, scaldare e illuminare il nostro cuore e la nostra mente, da cui scaturiscono le azioni e le scelte. 
10.   Forse tanti che incontrano un cristiano potrebbero chiedersi: “Ma in lui c’è il fuoco dello Spirito e come mai non arde?”. Certo, chi incontra un “cristiano medio” di oggi deve chiedersi: che ne è del fuoco in lui? Dove è finita la lingua di fuoco? «Purtroppo quel che esce dalla bocca dei cristiani è spesso tutt’altro che fuoco. Ha piuttosto un sapore di acqua stagnante, appena tiepida, né calda né fredda. Non vogliamo bruciare noi stessi e neppure gli altri e la fede cristiana si riduce a una visione del mondo costruita a nostra misura, col proposito di non ledere possibilmente in nulla le nostre comodità» (Benedetto XVI).
11.   Del resto, chi può conoscere il segreto del fuoco se non chi se ne lascia consumare? Gesù non dice mai: “Non fare, non si deve fare”, il cristianesimo non è fatto di proibizioni, è vita, creazione, illuminazione, èfuoco.Un antico detto, attribuito a Gesù, così recita: «Chi è vicino a me è vicino al fuoco, chi è lontano da me è lontano del Regno».
(DON UMBERTO COCCONI)

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