"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 5 novembre 2016

IL VANGELO DELLA DOMENICA: COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI.

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2016
Si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Vangelo di Luca).

Nell’episodio precedente i farisei avevano disputato con Gesù sul potere di Cesare. Cesare fu l’uomo del potere, ebbe nelle sue mani la possibilità di dare la morte. Ora vediamo invece come il potere di Dio, di donare vita ai morti, risulti esattamente l’opposto a quello dell’imperatore romano. Nel racconto entrano in scena i sadducei, persone ricche e materialiste, che non credono nella risurrezione e pongono a Gesù un caso impossibile per metterlo in ridicolo. Rifacendosi alle Scritture, citano la cosiddetta “legge del levirato”: quando un uomo muore senza aver lasciato discendenza, la vedova deve sposarne il fratello, in modo da dargli un figlio che prenda il nome del fratello morto e non lasci estinguere il suo nome. I sadducei creano ad arte il caso grottesco di sette fratelli che muoiono senza lasciare figli, dopo aver sposato in successione la stessa donna: “Nella resurrezione di quale dei sette essa sarà moglie?”. Gesù non si lascia tentare dallo spirito polemico della discussione, ma risponde invitando i suoi interlocutori ad andare in profondità. All’epoca di Gesù, nel mondo ebraico, come nel mondo greco e medio-orientale, vi erano diverse concezioni su una vita dopo la morte. 

Per molti la vita di un uomo continuava nella sua discendenza o nella storia del suo clan, ecco perché risultava così importante avere un figlio. Gesù intende dire che, se Dio è stato il custode e il liberatore dei patriarchi, non lo è stato per un tempo passeggero, restando poi vinto dalla potenza della morte, ma lo è stato soprattutto di fronte alla morte, strappando ad essa i padri nella fede. Sì, l’alleanza che Dio stringe è eterna e mai revocata; non può trovare ostacoli nella morte: Dio ama l’uomo di un amore più forte della morte, e l’uomo che vive per lui vive eternamente, risuscitato dalla potenza di Dio! Ma se Dio è il Dio della vita che ne sarà di noi con la morte che è l’esperienza della non vita? Dio non è fedele, Dio non è l’alleato dell’uomo? Se Dio è mio amico e io sono suo, allora anche lui è mio, questa relazione è indissolubile. Ma se io muoio, allora non mi farà risorgere? Se Dio ha creato il mondo, cosa gli costa ricrearlo? Colui che mi ha liberato dalla schiavitù di Egitto, colui che mi ha creato, non è pure colui che mi farà vivere per sempre? Affermare che Dio è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, vuol dire che lui è sposato con Israele. E’ un’alleanza indissolubile, che non potrà mai essere spezzata neppure dalla morte.

 La nostra fine non è la fine, è il ritorno al nostro principio per vedere il volto di Dio. «Ringraziare Dio per la vita che è un dono prezioso, ma è un dono come il camminare per andare a casa, non è che stai sempre fuori sulla strada. Viene il freddo e viene il gelo ed è ora di tornare a casa al focolare. Se invece io so che vengo da Dio e torno a Dio, benissimo! Ringrazio Dio di essere nato, ringrazio Dio, di vivere e camminare, di imparare ad amare e ringrazio Dio di tornare a casa» (Silvano Fausti). Oggi viviamo in un’epoca vagabonda: non ci poniamo più le domande: “Da dove vengo? Dove Vado? E credo che oggi siamo tutti sadducei, nella peggiore accezione della parola, perché abbiamo rimosso il senso della vita. Si dice sempre che l’uomo è di Dio, ma dovremmo dire: Dio è di me, appartiene a me, si dona a me, come a te. E questo amore neanche nella morte va perso. Amare non vuol dire “sei mio”, ma “sono tuo”, per questo Dio è di Isacco, di Abramo, di Giacobbe, di ciascuno di noi, perché ci ama. Se anche noi lo amiamo viviamo già la vita di resurrezione. Infatti sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli, che è amare concretamente il Signore negli altri.
(DON UMBERTO COCCONI)
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